Sono ormai passati 12 anni da quel 18 giugno 2011, quando abbiamo appreso della morte di Clarence Clemons, lo storico Big Man della E Street Band di Bruce Springsteen, uno dei sassofonisti più iconici nella storia del rock. Da qualche anno Clarence aveva seri problemi di salute. Si spostava sempre più a fatica, anche a causa della sua enorme stazza. Lo ricordiamo in particolare durante la sua partecipazione al Working On A Dream Tour del 2009, quando doveva essere accompagnato sul palco e sedersi spesso. Anche le sue performance erano fortemente compromesse: i suoi assoli si erano fatti sempre meno potenti e sempre più imprecisi. Ma nulla avrebbe fatto pensare che, a soli 69 anni, Clarence ci potesse lasciare, colpito da un ictus che lo ha ucciso.
BIG MAN NELLA STORIA
Non è mia intenzione ripercorrere qui la biografia di Clarence Clemons. Per questo esistono fior fiore di siti internet. Voglio invece tornare sulla discussione, a volte un po’ stucchevole e basata su luoghi comuni, su quale sia stato il reale spessore di Clarence Clemons nella storia della musica. Ricorre spesso, infatti, tra le diverse interviste di esperti musicali o musicisti l’opinione che Big Man, in fondo, non fosse un grande sassofonista. Quello che contesto di questa visione non è tanto un elemento di tecnica musicale. Forse, se consideriamo quanti eccellenti sassofonisti siano usciti da accademie e conservatori e quanti abbiano calcato i palcoscenici jazz, fusion, soul, blues, Clarence probabilmente sta dignitosamente nel mucchio, come si dice in gergo. Ma, come sempre, quando bisogna valutare l’impatto di un musicista nella storia della musica, specie quella popolare, è molto limitante fermarsi all’aspetto della tecnica. Nel caso di Clarence Clemons dobbiamo aggiungere almeno tre elementi.
LA POTENZA
Clarence è stato un sassofonista dalla potenza di fiato fuori dall’ordinario. Quando sentiamo cover delle canzoni di Springsteen suonate da altre band, ci possiamo rendere conto di quanto gli assoli di sax manchino di qualcosa. Non della tecnica, obiettivamente, quanto della pienezza del suono. La caratteristica determinante e unica di Big Man era la capacità di soffiare nel suo sax una quantità di aria enorme che, nello stesso tempo, andava regolata, soprattutto nei brani più melodici e lenti. Chi suona uno strumento a fiato sa che, per quanti polmoni puoi avere, d’altra parte il suono che scaturisce dallo strumento deve essere regolato, limitato, moderato. In ultima analisi è una semplice e delicata ancia che vibra e bisogna tenerla a bada. Se anche le partiture di sax presenti nella discografia di Bruce Springsteen, di Zucchero o nelle stesse canzoni di Clarence non fossero delle più difficili tecnicamente, la potenza del suono che Big Man infondeva nei brani è rimasta unica.
LA COMPOSIZIONE
Ogni musicista sa che, quand’anche si riesca a diventare virtuosi su uno strumento, replicando alla perfezione musica anche tecnicamente complessa già composta da altri, nel momento in cui si affronta la registrazione di brani inediti si deve approcciare alla composizione. A quel punto entra in gioco un elemento in più che solo in parte ha a che vedere con la tecnica. Sto parlando della creatività. Prendete un assolo come quello di Born To Run: tecnicamente è uno dei più difficili che Clarence abbia composto ed eseguito. Ma prendete il lungo assolo di Jungleland: tecnicamente è meno complesso da eseguire, ma quant’è bello? Ecco il significato della composizione. Puoi scrivere una cosa tecnicamente ordinaria ma semplicemente perfetta per quel brano o quell’assolo. Altri esempi di assoli semplici, essenziali, ma praticamente perfetti? Quelli in Independence Day, Drive All Night, Hearts Of Stone. Qualcuno ha scritto che Roy Bittan e lo stesso Springsteen abbiano avuto un ruolo decisivo nella composizione delle parti di sax di Clemons. Potrebbe anche essere, ma ogni musicista sa che nella fase di composizione il musicista stesso, anche se “aiutato”, mette sempre del suo. Il timbro, la finezza estetica, l’intensità.
IL GIGANTE NERO INCONTRA IL PICCOLO BIANCO
Un altro elemento, solo parzialmente collegato all’aspetto puramente musicale ma che contribuisce fortemente all’iconografia che contorna la figura di Clarence Clemons, è la sua essenza di gigantesco musicista afroamericano. In un’epoca in cui, ancora all’inizio degli anni Settanta, anche nel New Jersey come in tutta l’America, si assisteva a rigurgiti di scontri razziali tra le componenti bianche e nere della popolazione (Bruce ne canterà in My Hometown), l’unione professionale e umana tra il piccolo menestrello bianco italo-irlandese e il gigantesco sassofonista nero afroamericano diventava un simbolo di amicizia e di inclusione, anche tra persone dal diverso colore della pelle. Ancora più iconico divenne il famoso bacio sulla bocca, all’apparenza omosessuale, ma in realtà carico di simbolismo per quanto detto sopra.
IL ROCK INCONTRA IL BLUES
Non è un caso, però, che sopra abbia utilizzato l’avverbio “parzialmente” in merito al tema musicale. Questo perché la collaborazione tra Springsteen e Clemons si caricò di un ulteriore fortissimo elemento simbolico, proprio in tema musicale. Springsteen era il “nuovo Dylan” e l’erede di Woodie Guthrie, quindi rappresentativo del folk bianco. Il suo eclettismo alla chitarra elettrica ne faceva anche un incursore nella “bianca” British Invasion dei Rolling Stones e degli Who. Clemons portò nella musica di Springsteen il soul nero. Non è un caso che la produzione di Springsteen si tinse anche di musica black e che Asbury Park, grazie anche a Steve Van Zandt e Southside Johnny, si sia imposta come sede di una rilevante rinascita del soul rock.
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