Un altro pilastro della storia del rock ci ha salutato per sempre. L’amaro addio a Robbie Robertson, morto il 9 agosto all’età di 80 anni, mi tocca profondamente, perché tra i gruppi rock, forse The Band è la mia preferita in assoluto. Ma Robertson non è stato solo il finissimo leader, chitarrista e autore di The Band, bensì anche autore di colonne sonore per diversi film, tra cui The Departed e The Irishman (entrambi di Martin Scorsese), nonché autore di album solisti, tra cui Music For The Native Americans, dedicato agli Indiani d’America, da cui provenivano le sue stesse origini (specificatamente dalla tribù Mohawk). Come primus inter pares di The Band, Robbie Robertson, di nazionalità canadese, è stato anche la principale spalla di Bob Dylan tra gli anni ’60 e gli anni ’70, quando il gruppo divenne in momenti diversi la band ufficiale del menestrello di Duluth. Il meglio di The Band è racchiuso nei due album Music From Big Pink (di cui Eric Clapton dirà: “Ha cambiato la mia vita”) e The Band. Brani come The Weight e The Night They Drove Old Dixie Down, di cui Robbie Robertson è autore, fanno parte della struttura portante della cultura rock.

Robbie Robertson: il rock nelle dita, il blues nel sangue

Robbie Robertson era un chitarrista autodidatta e, nonostante la sua tecnica non fosse da virtuosista, sviluppò il ruolo del chitarrista non solo come ritmico/solista, ma anche come autore di continui riff in risposta al canto, una modalità che in quegli anni il rock attinse dalla black music, in particolare dal blues e dal soul, che a loro volta avevano preso dal gospel (in cui il botta e risposta era completamente svolto dalle voci). Per chi non conoscesse The Band, la loro produzione e il  loro modo di stare sul palco, consiglio vivamente di vedere il film-concerto The Last Waltz, diretto da Martin Scorsese nel 1978. In quell’ultimo concerto, prima dello scioglimento della band, Robertson e soci suonarono molti dei loro brani, ma ospitarono anche tanti dei grandi artisti che hanno caratterizzato il rock negli anni ’60 (tra i quali Neil Young, Jony Mitchell, Eric Clapton, Van Morrison, Muddy Waters, Ronny Hawkins, oltre ovviamente a Bob Dylan).

I diversi destini di The Band

La formazione storica di The Band era composta da cinque componenti, che hanno avuto un destino ben diverso. Alla batteria e voce solista c’era Levon Helm, l’unico elemento non canadese del gruppo che ha avuto anche una discreta carriera di attore. Ci ha lasciato nel 2012 a 71 anni. Al basso e voce (solita e cori) Rick Danko, un timbro vocale meraviglioso. E’ mancato nel 1999 a soli 56 anni. The Band è stata l’unica band nella quale i cantanti solisti erano i musicisti che componevano la base ritmica. Al pianoforte e organo Richard Manuel, pianista eclettico, fu il primo a morire nel 1986, suicida, a soli 43 anni. Alla chitarra lui, Robbie Robertson, autore, musicista, compositore, scrittore. Ci ha salutati ieri 9 agosto all’età di 80 anni. The last man standing di The Band, l’unico ancora vivo, a questo punto rimane l’organista e polistrumentista Garth Hudson che, curiosamente, è anche l’elemento più vecchio della band. Ha appena compiuto 86 anni.

L’influenza di The Band su Bruce Springsteen

Mi è capitato di dibattere sull’influenza di The Band e di Robbie Robertson sulla musica di Bruce Springsteen. Un’influenza che alcuni non sentono e che obiettivamente non è immediata all’ascolto, soprattutto perché non ci sono brani di Springsteen che richiamano quelli di The Band. Ma alcuni indizi del tutto evidenti mi fanno propendere per un’influenza molto profonda. Intanto la stessa formazione di The Band. Tra i gruppi di grande spessore, The Band è la più importante formazione prima della E Street Band che ha previsto la coesistenza di un organista e di un pianista. Richard Manuel e Garth Hudson, con le dovute distinzioni, sono in qualche modo i precursori di ciò che saranno Roy Bittan e Danny Federici per la E Street Band. Consideriamo inoltre che Garth Hudson suonava anche il sassofono (un esempio: la bellissima It Makes No Difference). Lo stesso Robbie Robertson, insieme ad altri chitarristi blues-rock come Keith Richards, è stato a mio parere molto influente sul modo di suonare la chitarra di Bruce e soprattutto di Steve Van Zandt.

L’amore di Bruce per The Band

Quanto Springsteen abbia amato la musica di The Band è testimoniato anche da alcuni aneddoti. In una dichiarazione di qualche anno fa Bruce ha definito The Band in modo inequivocabile: “In nessun caso il risultato finale ha superato la somma dei singoli come in The Band”. Non è forse questa una definizione che aderisce perfettamente anche alla E Street Band? Non è forse la E Street Band grandiosa per come pur ottimi musicisti abbiano saputo ottenere un risultato musicale superiore, con un valore aggiunto “di gruppo”? Ma la passione di Springsteen per The Band ha avuto altri sfoghi: intanto Bruce ha stretto un buon rapporto di amicizia con Levon Helm, con il quale si è trovato più volte sul palco. L’ammirazione per Levon Helm e per The Band furono testimoniati una volta di più da Bruce quando, proprio in occasione della morte di Helm, chiese alla sua band di improvvisare The Weight, pezzo storico di The Band, durante un concerto a Newark del Wrecking Ball Tour. La stessa cosa Bruce ha fatto ieri sera a Chicago, prima data americana dopo la parentesi europea, dedicando a Robbie Robertson la sua I’ll See You In My Dreams, ispiratagli dalla morte del suo vecchio compagno di band George Theiss, ma per traslazione dedicabile a ogni amico musicista che ci lascia per sempre (ma… “la morte non è la fine” canta Bruce in quel brano). Robbie Robertson aveva prodotto un docu-film sulla sua vita e sulla storia di The Band. Il film, intitolato Once Were Brothers, ripercorre gli anni mitici del gruppo, ma anche i difficili rapporti tra i componenti della band. A suggellare la grandezza di The Band, anche in quel film sono invitati grandi musicisti che hanno attinto dalla sua musica. Tra di essi, oltre a Eric Clapton e Bob Dylan, proprio Bruce Springsteen.

 

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Dario Migliorini

 

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