Astral Weeks è la canzone d’apertura, nonché la title track dell’omonimo album pubblicato nel 1968 dal cantante e musicista nord-irlandese Van Morrison. Dopo i primi grandi successi commerciali (in particolare Gloria con i Them e Brown Eyed Girl come solista), nel 1968 Van Morrison visse un periodo difficile, tra pesanti vicende contrattuali e crisi compositiva. Fu in quel periodo, nel quale l’artista si trasferì in America e frequentò nuovi ambienti e persone (tra cui Lou Reed, dal quale ebbe forte influenza), che nacque l’ispirazione per Astral Weeks. Non più brevi pezzi facili all’orecchio e vicini al gusto del pubblico più vasto, ma un nuovo stile compositivo e lirico che diventerà un marchio di fabbrica di Van Morrison e porterà il musicista britannico a ottenere altissimi riconoscimenti, specie dalla critica. Astral Weeks, nonostante il suo apparente classicismo strumentale, fu considerato estremamente innovativo ed è annoverato a tutt’oggi tra i migliori album di sempre.
ANGOSCIA E REDENZIONE
Astral Weeks (leggi la traduzione qui) è una di quelle canzoni in cui la genialità dell’autore lascia aperte tante letture, ammesso che per lo stesso Morrison ce ne fosse una sola. L’interpretazione più immediata porta a leggervi un’intensa canzone d’amore, nella quale l’uomo cerca di esprimere con la poesia la bellezza dell’amore, elemento che eleva l’uomo verso spazi e tempi che trascendono i limiti terreni dell’umanità stessa, chiusi tra individualismo, egoismi e interessi materiali. C’è poi chi ha cercato significati diversi. Qualcuno ha ipotizzato che gli spazi eterei nei quali l’uomo trova la voglia di rinascere siano una trasposizione dell’America, che Morrison ha vissuto in quel periodo di difficoltà personali come una svolta, incoraggiato dalla frequentazione di ambienti artistici e musicali nuovi e ispiranti. Altri hanno collegato questo testo alla morte, come una perlustrazione di una vita soprannaturale oltre la vita terrena. Un misticismo la cui ispirazione sarebbe arrivata da un fatto personale dai risvolti tragici. Poco tempo prima, infatti, Van Morrison aveva accompagnato nei suoi ultimi giorni di vita una ragazza che amava e che stava morendo di tubercolosi.
Musica impressionista
Quale che sia l’interpretazione, non c’è dubbio che Van Morrison si interroghi sul miracolo della vita, tra i dolori che si subiscono o si provocano sulla terra e la possibilità di raggiungere dimensioni più elevate, nei quali cercare la propria libertà. Si parla, come nell’arte figurativa, di impressionismo. La musica, in una fusione totale tra le parole e armonia, induce l’ascoltatore ad interrogarsi sulla propria situazione terrena ma, ancor più, a ricercare la propria trascendenza. Una spiritualità che va oltre la dicotomia vita/morte, ma incontra il binomio angoscia/redenzione. L’uomo prova angoscia e dolore per i fatti terreni, ma può trovare una risposta elevandosi in un viaggio astrale, lungo anche settimane, come suggerisce il titolo. Uno spazio nel quale redimersi, ritrovando se stesso in un livello superiore.
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Oltre il vincolo della materialità terrena
Sembra che Van Morrison provi a portarci in ambiti spazio-temporali diversi. Ascoltando Astral Weeks, ma anche altri brani dell’album come Madame George e Cyprus Avenue, viene da chiudere gli occhi e partire lontano con l’immaginazione, cercando una liberazione dai tormenti che devastano spesso l’esistenza terrena. Morrison ottiene questo risultato non solo con un’armonia musicale eterea, ma anche con parole che evocano quegli ambiti privi di materia e ce li imprimono nell’anima e nelle budella come se anche noi stessimo andando “in un altro tempo, in un altro posto”. Lungi dall’essere un pretenzioso vezzo stilistico, anche la ripetizione ossessiva dei versi ha quello scopo. Come se Morrison ci dicesse: “Avete capito cosa vi ho detto? Per rinascere… per rinascere… in un altro mondo… in una altro tempo. Provate ad andarci!”
Oltre la tentazione dell’autodistruzione
Astral Weeks è una canzone (e un album) fondamentale perché ci accompagna in un viaggio spirituale che supera la spinta all’autodistruzione di cui si stava impregnando il rock dell’epoca. La ricerca di un’elevazione seguì diverse strade. Una altro Morrison (Jim dei Doors) aveva cercato di abbattere le porte della percezione materiale con l’utilizzo delle sostanze stupefacenti e di ogni altro mezzo che aiutasse l’uomo a superare i limiti del pensiero umano e della sensibilità terrena. Altri esponenti di quel rock avevano cercato la trascendenza approcciando alle filosofie orientali (come non citare George Harrison e i Beatles all’epoca del White Album). C’era anche la tendenza a estremizzare la ricerca di sonorità psichedeliche come aspirazione sensoriale di qualcosa di più elevato. Van Morrison provò a varcare quella soglia con l’immaginazione di cui siamo capaci, seguendo le linee di contrabbasso, di chitarra e di flauto, mentre liberamente si fondono con la sua voce acuta e colma di sofferenza. La sofferenza di chi sta provando a superare quel limite senza sapere cosa troverà (“Ho una casa su in alto, non sono altro che un estraneo in questo mondo”). Morrison sembrò ispirarsi, più che alla controcultura rock, alla grande tradizione letteraria anglo-irlandese dei Joyce, dei Blake e dei Yeats, poeti che cercarono nel misticismo più romantico quella trascendenza di spirito che supera la terrena materialità.
Morrison & Springsteen
Van Morrison ha certamente influenzato la produzione discografica di Bruce Springsteen, almeno per ciò che riguarda i primi album di quest’ultimo. Se indubbiamente questa influenza è stata forte dal punto di vista musicale (soprattutto nell’album The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle), altrettanto non si può dire dell’aspetto lirico. È anzi interessante rimarcare un elemento di forte divergenza. Entrambi i cantautori cercano un viaggio, una fuga. Ma mentre Morrison utilizza la poesia per intraprendere un viaggio verso l’alto, Springsteen utilizza il racconto narrativo nella ricerca una terra promessa palpabile, materiale. In Morrison la redenzione è un valore pienamente spirituale, in Springsteen la redenzione si permea di estremo realismo e assume le sembianze di un dignitoso posto di lavoro, di una casa e di una famiglia.
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L’INNOVAZIONE NELLA TRADIZIONE
Astral Weeks nacque sulla scia di un esperimento che Van Morrison intraprese, suonando dal vivo solo con una chitarra, un contrabbasso e un flauto. Ne scaturì un sound folk jazz acustico che, pur utilizzando strumenti classici, li fondeva in una sonorità innovativa. Questo esperimento convinse Morrison a registrare in studio alcune nuove canzoni, tra cui Madame George, Cyprus Avenue e Beside You. Se ne aggiunse poi una quarta, proprio Astral Weeks. Questo nuovo modo di fare musica affianca alla poesia mistica un’improvvisazione musicale che vede i singoli musicisti viaggiare liberi, tracciando linee armoniche e melodiche autonome, come avviene nel jazz, ma che tendono a fondersi in un unico viaggio spirituale. Ascoltando Astral Weeks, una canzone che peraltro si snoda in tre soli accordi di base, è meraviglioso focalizzarsi sul contrabbasso di un superbo Richard Davis, sul flauto di John Payne, sulla chitarra acustica di Jay Berliner e sugli archi arrangiati da Larry Fallon per apprezzarne le singole armonie, ma poi sorprendersi per come tutti, insieme alla voce di Morrison, tendono verso un unico obiettivo: la ricerca di uno spazio più elevato.
Curiosità
Quando a settembre del 1968 i musicisti si ritrovarono a New York per registrare le prime tracce delle canzoni di Astral Weeks, avevano già ascoltato le bozze di altre canzoni che entreranno nel nuovo album. La title track invece era ignota a tutti. Il flautista John Payne testimoniò che il giorno che registrarono la canzone arrivarono in studio, appresero la semplice sequenza di accordi e la suonarono in una sorta di improvvisazione jazz. Quella prima registrazione improvvisata fu l’unica take e, con l’esclusione della voce di Morrison che fu sovraincisa, rimase la versione che tutti possiamo ascoltare sull’album.
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