Born In The USA è il disco di maggiore successo di Bruce Springsteen. Numeri da capogiro: oltre 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo, primo posto nelle chart di quasi tutti i Paesi dell’occidente, un’incetta di Dischi d’oro, di platino e di diamante. Da esso furono inoltre estratti ben 7 singoli. Dopo il successo negli USA di The River, tutti, dal manager Jon Landau ai discografici della CBS, si stavano adoperando per il lancio del disco della definitiva consacrazione. Ma molti dei brani composti sembravano eccellenti nella loro semplice versione acustica. Nacque così lo splendido Nebraska (1982). Altre canzoni (tra cui la stessa Born In The USA) vennero tenute in disparte per il nuovo album full band, ma serviva altro materiale. Così Springsteen tornò a comporre musica. Complice il suo proverbiale perfezionismo e qualche differente veduta di produzione, Born In The USA ebbe una genesi lunga e complessa.

IL BOSS DEL MONDO

Nel 1984 la musica pop aveva definitivamente abbracciato i suoni elettronici e sintetizzati che la tecnologia metteva a disposizione. Nel frattempo il post punk e la new wave sembravano decretare un totale cambio di rotta del rock. Qualcuno – come Sting in uscita dai Police proprio nel 1984 – aveva addirittura teorizzato la fine del rock, della sua rivoluzione e delle sue sonorità più classiche. Born In The USA irruppe nel panorama rock come una valanga. Da un lato Springsteen inaugurava l’utilizzo, sebbene ben dosato, di suoni sintetizzati, acuendo il forte contrasto con i due lavori precedenti. Dall’altro, però, sembrò confermare che la strada maestra – il rock – aveva ancora molto da dire. Se è vero che molti ammiratori della prim’ora storsero il naso di fronte a questo cambio stilistico, è innegabile che il grande pubblico di tutto il mondo accolse l’album con uno straordinario gradimento.

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Un album poliedrico

Born In The USA è un album poliedrico, molto meno di concetto rispetto ai precedenti. La sua tracklist vede la presenza di brani dall’origine diversa sia per come sono nate sia per il loro significato. Alcuni brani vennero scritti per Nebraska in un formato acustico. È il caso della title track, ma anche di Downbound Train (all’ultimo scartata per Nebraska), Working On The Highway (titolo originario: Child Bride) e I’m Of Fire (nata come brano acustico, poi trasformata in un brano dal sobrio ritmo rockabilly). Cover Me, Darlington County, I’m Goin’ Down e Glory Days videro la luce nel periodo di Nebraska, ma furono da subito registrate come brani full band (la cosiddetta Born In The USA electric session del 1982). Solo più tardi videro la luce My Hometown (l’unica registrata nel 1983), No Surrender, Bobby Jean e Dancing In The Dark (registrate nel 1984 a completare la definitiva tracklist del disco).

Dal dramma alla leggerezza

Anche sul lato dei temi Born In The USA è un album variegato. La title track è una dura accusa del trattamento ricevuto dai veterani al loro ritorno dal Vietnam. Altre canzoni riprendono i temi di The River: le difficoltà di una coppia e di una famiglia in un ambiente difficile. Cover Me e Dancing In The Dark cantano della ricerca di calore umano in un mondo che isola e respinge, Working On The Highway e Downbound Train di relazioni finite tra problemi di lavoro e illegalità. My Hometown racconta dell’emigrazione di una famiglia dal luogo d’origine, ormai caduto in miseria. Se I’m On Fire è una delle canzoni più sensuali dell’intera discografia springsteeniana, No Surrender e Bobby Jean sembrano le sorelle minori di Backstreets, inni di amicizie forti ma tormentate. Infine Glory Days canta dei rimpianti di gioventù, mentre I’m Goin’ Down e Darlington County alleggeriscono i toni con storie seriocomiche.

Tra fraintendimenti…

Born In The Usa portò con sé alcune grandi novità. La prima, più eclatante, fu l’ascesa di Springsteen a star planetaria. Alla pubblicazione del disco seguì un tour gigantesco di 156 concerti in 4 diversi continenti, con un pubblico che sommò a poco meno di 4 milioni di persone. Springsteen si presentò con un fisico notevolmente ingrossato dal lavoro in palestra. Questo suo nuovo look, in aggiunta alla grande bandiera a stelle e strisce che dominava alle spalle del palco, generò un fraintendimento sulla title track, che venne da tanti considerata una sorta di inno patriottico. Benché la canzone non escludesse da parte di Springsteen un senso di orgoglio verso la sua patria, il significato del testo traghettava una forte critica all’amministrazione e all’opinione pubblica americana che stava dimenticando e maltrattando i suoi figli che avevano combattuto in Vietnam.

… e addii

L’altra novità fu l’addio di Steve Van Zandt. Tra lui e Springsteen ci fu anche un accesso diverbio, presto ricucito, ma le motivazioni che lo portarono all’addio ebbero una duplice natura. Da un lato lui sentiva di aver perso il ruolo di primo consigliere nella produzione musicale di Springsteen a favore di Jon Landau. Uno dei momenti cardine fu la preferenza di Springsteen e Landau per il lancio di Dancing In The Dark come primo singolo estratto dal disco, a scapito di No Surrender, che invece Van Zandt adorava. Dall’altro lato Van Zandt aspirava a una carriera da solista, permeata non solo di soul rock, la musica che più amava, ma anche di un forte impegno politico nella lotta contro l’Apartheid e altre ingiustizie. Born In The USA fu comunque prodotto e per gran parte suonato anche dallo stesso Van Zandt. A lui, si narra, Springsteen dedicò la commovente Bobby Jean.

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12 CANZONI DA BLOCKBUSTER

Anche sul lato musicale Born In The Usa è un album di svolta nella discografia springsteeniana. Per la prima volta Bruce e la E Street Band introdussero suoni sintetizzati e registrarono sovraincidendo molte delle parti. Anche in questo il disco resta poliedrico. Alcune canzoni, come Cover Me, Darlington County, No Surrender, Bobby Jean e I’m Goin’ Down, presentano un sound più vicino a quello di The River. Le chitarre sono in evidenza (in Cover Me c’è anche un bellissimo assolo), si sente il sax (splendido l’assolo finale in Bobby Jean) e le tastiere elettroniche, quando ci sono, stanno a puro sfondo. In altre canzoni, invece, le sintetizzazioni sono protagoniste. Nella title track, che è potenzialmente un brano hard rock, il tema dominante è suonato con un sintetizzatore. In Working On The Highway alle chitarre si aggiunge una tastiera squillante. In Downbound Train la melodia della lunga parte centrale senza base ritmica è sostenuta da un tappeto di sintetizzatori. I’m On Fire, Dancing In The Dark, Glory Days e My Hometown non sarebbero le stesse canzoni senza il corposo contributo dei suoni elettronici. Ma Born In The Usa resta un album prettamente rock e, mentre il pop di Madonna e di Michael Jackson imperversavano, il disco ebbe il merito di rifocalizzare l’attenzione del grande pubblico su un rock forse meno ruvido, ma comunque potente.

Un album nascosto

Appartengono a questo periodo di composizione (il triennio 1982-84) una serie di canzoni con un tiro decisamente rockabilly. Al di là del fatto che siano state rese in studio con il classico sound rockabilly o che siano state travestite in qualcosa di diverso, possiamo affermare che I’m On Fire, Working On The Highway, Tv Movie, Stand On It, Johnny Bye-Bye, Shut Out The Light e Pink Cadillac abbiano la stessa radice comune. Non è da escludere che in quel periodo Springsteen fosse tentato anche da un disco rockabilly, sulla scorta di quanto aveva fatto Neil Young nel 1983 con l’album Everybody’s Rocking.

Tira tu le conclusioni…

  • conosci l’album Born In The USA?
  • se sei tra i tanti che conobbero Springsteen grazie a questo album, hai proseguito nella ricerca dei suoi altri album e ne sei rimasto fan?
  • cosa pensi del nuovo stile pop-rock che Springsteen inaugurò con questo album?
  • hai assistito al primo mitico concerto in Italia di Springsteen a San Siro, Milano dell’11 giugno 1985? Racconta le tue senzazioni.

Esprimere se stessi è segno di vitalità e di distinzione. Fallo anche tu e commenta qui.

Dario Migliorini

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