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Due cose sono attualmente sulla bocca di tutti, parlando di Bruce Springsteen: i concerti 2024 e le nuove polemiche. Springsteen ha annunciato i concerti 2024 e i biglietti sono in vendita ma, immancabili, sono arrivate nuove discussioni sulle sue scelte, persino sulla sua integrità morale e sul suo ruolo nella storia del rock. Il fatto che ha scatenato i fans – chi all’attacco, chi a difesa di Bruce – è l’affidamento dell’organizzazione (o meglio della co-organizzazione) dei suoi concerti in Italia alla multinazionale Live Nation.

Benvenuti nel nuovo ordine mondiale

Non si potrà mai sapere se il fattore “polemiche” sui concerti 2023 abbiano pesato nella scelta di Springsteen e del suo management di affiancare alla Barley Arts di Claudio Trotta la multinazionale Live Nation o se sia una scelta puramente dettata da motivazioni organizzative/economiche. Di certo c’è che anche Springsteen, dopo aver difeso per tanti anni il lavoro dei piccoli player del settore, si è concesso alla corporation multinazionale, ottenendo l’indubbio vantaggio di avere un unico interlocutore per tutta la pianificazione del tour, ma d’altra parte rischiando che d’ora in poi si vada alla deriva nelle modalità di gestione e di vendita dei biglietti in “stile americano” (costi stellari, dynamic pricing, up-selling e cross-selling). Ma quello che crea maggiore motivo di polemica è il fattore di fondo: Golia che sconfigge Davide, il grande che fagocita il piccolo, il denaro che si compra tutto. Qualcosa che sembra stridere parecchio con la fama di working class hero di Springsteen.

Fuori dal mito

Faccio una premessa: sono un fermo contestatore dell’avvento di questi colossi in ogni ambito della nostra vita. Men che meno nel contesto artistico e musicale, nel quale ridurre tutto a marketing, vendita di servizi e profitto porta un danno pesante alla percezione stessa dell’arte e della musica. Quindi – lo dico senza mezze parole – non condivido la scelta di Bruce Springsteen e del suo management. Per me è sempre meglio il piccolo, il locale. Ogni accentramento di potere e di denaro che ci rende tanti piccoli anonimi cittadini/consumatori è per me una sconfitta. Detto questo, su Springsteen si stanno dicendo e scrivendo cose assurde. Tutto parte – ne sono convinto – proprio dalla distorsione che si genera quando un grande uomo viene trasformato nell’eroe, nel mito.

Le aspettative che noi stessi creiamo

I detrattori di Springsteen e molti fan delusi dalle ultime scelte lo dipingono come l’eroe rammollito, il mito delle classi umili che si è arricchito e imborghesito. Queste grosse aspettative su di lui le creiamo noi (e i media). Bruce è (ed è sempre stato) semplicemente un uomo che scrive grandi canzoni: di questo dobbiamo renderci conto. Non è l’eroe dei due mondi, non è la leggenda di chissaché. Bruce è un uomo dalla grandissima sensibilità umana e artistica che negli anni ha scritto pagine stupende di musica e di letteratura. Punto! Per tanti anni ha scritto delle classi più umili non per diventarne il condottiero, ma semplicemente perché aveva bisogno di scrivere piccole storie di gente come suo padre e sua madre, come lui stesso prima che diventasse qualcuno. Lo ha fatto ancora di recente, scrivendo quel grande album che è Western Stars, senza la pretesa di essere l’eroe di nessuno.

Un’altra dimensione

Ora, però, che ci piaccia o no, Bruce vive in un’altra dimensione: è invecchiato, sta perdendo per sempre uno dopo l’altro i vecchi amici, sta sentendo pesanti i colpi del tempo che passa inesorabile, sta cercando con tutte le sue forze di combattere un disturbo terribile che lo affligge da anni e che indubbiamente peggiora con la vecchiaia. Aggiungo che ha una madre 98enne gravemente malata, una moglie, tre figli e una nipotina. Tutto questo, come sempre, si trasla anche nella sua arte: Letter To You è un album sulla morte e su cosa succede a chi resta. Nell’ultimo tour i momenti più importanti e intimi dei concerti parlavano di morte. In questa nuova dimensione è evidente che trovano meno spazio le liriche sulle classi umili. La dico grossa, ma è una cosa di cui dobbiamo renderci conto: quella lotta per la gente più povera, per i migranti, per gli ultimi che Bruce ha combattuto dopo Guthrie, Seeger, Dylan e Cash, ora non è più nelle sue corde. Non perché si sia bevuto il cervello, ma semplicemente perché non spetta più a lui. Se ha ancora senso combattere quella battaglia in un mondo così cambiato, nel quale i giovani sembrano crescere senza quella spinta rivoluzionaria che dovrebbe invece caricarli di passione, beh quella battaglia la deve combattere qualcun altro, non più lui.

Qualcosa da dire

Probabilmente quella scelta relativa a Live Nation, che certamente avrà avallato e che altrettanto certamente non condivido, fa parte di questa dimensione: “Qualcun altro si occupi di combattere i grandi poteri, io ora devo pensare a invecchiare decentemente e a morire il più tardi possibile. E nel frattempo tento di scrivere ancora della musica e dei testi che abbiano un valore” sembra volerci dire Bruce. E, a proposito della sua arte, ricordo che, ad oggi, la sua ultima canzone inedita pubblicata è I’ll See You In My Dreams. Rileggetene la traduzione: davvero pensate che Bruce non abbia più niente da dire?

Delusi o sempre ai suoi ordini?

Prendete me: ho appena criticato la scelta di Bruce su Live Nation, senza remore. Sono amareggiato? Sì. Sono deluso? Un po’. Ma questo non significa disconoscere la grandezza dell’artista e la sensibilità dell’uomo. Non significa trasformare 50 anni di incredibile produzione musicale e lirica in spazzatura. Soprattutto, per quanto mi riguarda, non significa aver perso fiducia nel proprio condottiero. E sapete perché? Perché per me condottiero non è mai stato. Non ho cercato in lui una guida, un eroe. Solo un uomo, un fratello maggiore, uno che mi raccontasse la vita. Non un uomo senza macchia, non un esempio. Solo una persona che mi aiutasse a vedere qualcosa di più di quello che riuscivo a vedere da solo. E già questo è tantissimo. E poi: lo andrò ancora a vedere? Se non ci andassi sarebbe in protesta contro un sistema che non mi piace. E l’ho perfino meditato. Ma se ci andrò – e ci andrò – sarà per un semplicissimo motivo: perché saranno ancora tre ore tra le più belle della mia vita.

 

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Dario Migliorini

 

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