Come già altri artisti prima (tra i più celebri Bob Dylan, Neil Young e Paul Simon), anche Bruce Springsteen ha optato per la cessione del suo catalogo artistico alla Sony, ossia la cessione dei diritti sulla propria produzione artistica, per un corrispettivo di 500 milioni di dollari. Cedere i diritti d’autore significa rinunciare ai proventi che ne derivano, da quelli che arrivano dagli ascolti streaming a quelli, sempre più magri, che arrivano dalla vendita di dischi. Ma la parte più ricca di questo business è rappresentato dall’utilizzo in film e serie TV, dalle cover suonate dal vivo o in studio da altri artisti, dai passaggi in radio fino alla pubblicazione di raccolte e cofanetti. La Sony quindi potrà disporre a piacimento del catalogo di Bruce, salvo eventuali clausole e con l’eccezione, ovviamente, di ciò che Bruce deve ancora pubblicare.
I vantaggi per la Sony
La cessione del proprio catalogo da parte di un artista segue quella che gli anglosassoni chiamano logica win/win: il contratto tra Bruce Springsteen e la Sony produce enormi vantaggi per entrambi. La Sony, che detiene evidentemente grande patrimonio liquido, sa che rientrerà solo nel tempo delle ingenti uscite sostenute, ma avrà nel frattempo il controllo sulla produzione di un autore tra i più amati al mondo e potrà porsi sempre più come soggetto forte (e market maker) sul mercato discografico.
I vantaggi per Bruce Springsteen
Bruce Springsteen incassa, liquido e immediato, un lauto patrimonio che altrimenti avrebbe incassato in anni o che, almeno in parte, avrebbero incassato i suoi eredi quando lui diventerà una delle souls of the departed che ha cantato nelle sue canzoni. La realtà è che, per artisti ormai avanti in età come lui, la vendita del catalogo non è solo una grande fonte di ricchezza, ma anche una serie di altre opportunità. La più importante è che la gestione dei diritti d’autore in capo agli eredi di un artista è spesso motivo di scontri o almeno di forti complessità. Non sapremo mai come i figli di Bruce avrebbero gestito i diritti sul catalogo del loro papà, ma nulla assicura che sarebbero andati d’accordo e che lo avrebbero fatto, anche loro malgrado, nel migliore dei modi. Ereditare invece solo capitale determina per i figli difficoltà sicuramente minori. E per un padre avantaggiare i figli penso sia una priorità. Un aspetto collaterale della trasformazione dei diritti d’autore in denaro è legato alla proverbiale generosità di Bruce. Non sappiamo quanto denaro lui abbia donato finora, né quanto ne donerà. Ma una cosa è certa: il denaro si può donare, i diritti no, se non affrontando un dedalo assurdo di lacciuoli normativi e burocratici.
Le obiezioni (e le mie risposte)
Due sono i punti, del tutto retorici e a mio parere piuttosto sterili, che vengono sollevati dai critici sull’argomento.
- Lo scandalo della mercificazione dell’arte. Ossia – faccio notare – una cosa che succede da sempre. Nelle arti figurative un artista crea un’opera per venderla. Un musicista compone un’opera per venderla. Non solo per un’esigenza artistica, ma anche per il suo successo e per il suo benessere economico. Non c’è nulla di male. Da sempre un’opera d’arte di qualsiasi tipologia ha in sé un’anima artistica e un’anima commerciale. Bruce ha anche dichiarato di essere felice di aver venduto il suo catalogo non a chicchessia, ma alla Sony, vale a dire a una società professionista che per decenni lo ha sostenuto. Una cosa così disdicevole?
- La figura pubblica di Bruce Springsteen. Il suo status di working class hero non dovrebbe consentirgli – secondo alcuni – di trarre profitto così spudoratamente dalla sua arte. Questa tesi si basa su un assunto del tutto fuorviante: che Springsteen abbia chiesto di essere un eroe delle classi umili, che sia stato eletto eroe nel giuramento che non avrebbe mai accumulato ricchezze. È mai successo questo? Direi di no. E allora perché questa accusa di incoerenza? Molto semplice: perché il ruolo di working class hero glielo abbiamo affibbiato noi, corrotti dalle iperboli della critica e dei media. Bruce non ha mai fatto la morale a nessuno, ha solo scritto grandi canzoni, raccontando storie di gente umile, senza aver mai preteso di diventarne il rappresentante. Bruce non è un sindacalista o un politico. Era e resta un cantautore. Non è un caso, peraltro, che gli altri autori che hanno ceduto il catalogo (Bob Dylan, Neil Young, Paul Simon) abbiano le stesse caratteristiche di Bruce: sono anziani, hanno eredi da tutelare e negli anni hanno cantato di temi sociali importanti. Sono tutti diventati dei fottuti capitalisti ipocriti?
L’impatto sui fan
Forse la posizione contraria di parte del pubblico e quindi l’accanimento sul tema deriva dal timore di perdere qualcosa come collettività. Già, ma in tutto questo l’ascoltatore/fan cosa guadagna o perde? Dal punto di vista economico probabilmente nulla cambia. L’industria discografica continuerà a determinare prodotti e prezzi sulla base delle logiche di mercato. Quello che potrebbe molto teoricamente cambiare è l’aspetto artistico. Salvo eventuali clausole imposte da Springsteen, potremmo teoricamente rischiare di sentire The River o Point Blank nella colonna sonora in una commediola con Ben Stiller o in una pubblicità di detersivi. Succederà davvero? Ne dubito. Non solo per un discorso di buon gusto e di buon senso, ma perché chi guarda una commediola con Ben Stiller o una pubblicità di detersivi non si aspetta certo di sentire canzoni che parlano di amori difficili o di ragazze che finiscono male. Se invece quelle canzoni finissero in un film di Quentin Tarantino non ne sareste contenti?
Le mie conclusioni
Cosa penso di tutto questo? A) non mi curo delle scelte patrimoniali di Bruce e questo non scalfisce l’idea che mi sono fatto di lui. B) certamente auspico che Bruce abbia imposto clausole tali da impedire che la sua musica venga trattata come materiale cheap, per dirla all’americana. C) per lo stesso motivo spero che il mercato discografico non venga aggredito da raccolte e cofanetti di ogni tipo che sviliscano la sua arte. E tu cosa ne pensi?
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Sono completamente d’accordo con quanto hai scritto sulla vendita alla Sony del catalogo da parte di Bruce e davvero non ci trovo nulla di disdicevole. Penso anch’io che una delle motivazioni principali possa essere stata quella di rendere più semplice e trasparente, speriamo in un futuro molto aldilà da venire, la successione agli eredi del suo ingente patrimonio. Poi non credo che questa operazione possa deteriorare il suo essere considerato, al pari di John Lennon, un “Working Class Hero” perché resteranno per sempre molti dei suoi testi a testimoniarlo. Un caro saluto ed è sempre un piacere leggerti.
Corrado, ciao. Hai detto tutto perfettamente. E’ esattamente quello che penso io. Prossimamente mi impegno a parlare del tuo lavoro sui video. sai che lo apprezzo tanto.
E che dire Dario,condivido tutto!! volevo trovare qualche spunto critico per movimentare il post ma niente..:),ripeterei le cose dette da te Piuttosto ti chiedo una curiosita’ o piu’:
1) si e’ mai saputo o almeno immaginato QUANTI brani avrebbe “venduto”?Tutti gli ufficiali o se n’e’ tenuto qualcuno per se’?
2) collegata alla prima,ma ti sei mai divertito a “contare” quanti brani ha sritto Buce nella sua vita?parlo di tutti proprio,compresi tracks e magari outtake…io ci ho provato ma e’ impresa ardua,mi sembra nel 2013 appena uscito Wrecking ball arrivai a circa 300 ma sicuramente me ne sono perso qualcuno per strada,dai accetta qusta sfida!!:))
ciao!
Grande Roberto! Grazie intanto per il gradimento e la condivisione dei temi. Per quanto riguarda la prima domanda, penso sia impossibile saperlo. Dovremmo forse avere qualche amicizia nella Sony o nell’entourage di Bruce (preferirei la seconda ah ah ah). Io nell’articolo auspico solo che Bruce abbia preteso alcune clausole sull’utilizzo del suo materiale, detto che dopo 70 anni dalla morte dell’autore i diritti comunque decadono. Quindi la Sony si è garantita i diritti delle canzoni di Bruce per 70 anni + gli anni che Dio o il destino concederanno a Bruce di rimanere a beatificarci con la sua musica. Per la seconda domanda, certo che accetto la sfida. Per un semplice motivo: le voglio recensire tutte. Forse ci vorranno 5 anni, forse anche di più, ma lo farò (anche in questo caso se Dio o il destino mi concederà una vita sufficientemente lunga). Facciamo così: affronterò prossimamente la sfida che mi hai lanciato con un articolo ad hoc. Abbi fede!!! Un abbraccio
Ciao, mi chiamo Marco e ho trovato per caso il tuo ottimo articolo. Seguo Springsteen da una trentina d’anni pur non definendomi un fanatico, nel senso che apprezzo molto alcune pubblicazioni e meno altre, pur riconoscendone la solidità artistica e morale oltre che l’immensità dal vivo, dimostrata ancora una volta a Ferrara, concerto pieno di polemiche molto strumentalizzate. In proposito, un quotidiano ha scritto in merito a tali polemiche che Bruce vuole essere un vate, un sacerdote e quindi deve prendersi onori e oneri di tale ruolo. Domanda: ma quando Springsteen ha chiesto di essere tale? O forse critici, fan e media lo hanno reso tale? Quanto all’oggetto del tuo articolo, l’unica cosa che vedo di negativo è che si rischia di veder aumentare a dismisura le già troppe raccolte e best of, tutti prodotti inutili che annacquano il catalogo.
Marco, grazie. Devo dire che sono d’accordo su entrambe le cose che scrivi. Per ciò che riguarda il ruolo di Bruce, le tue sono sacrosante parole. L’ho scritto anche nel mio articolo di qualche giorno fa sulle polemiche a Bruce, che ti invito a leggere, se non lo hai ancora fatto. Bruce non ha mai chiesto di essere un eroe popolare e come sempre è il popolo che genera aspettative, spesso corrotto dai media in cerca di visibilità e audience. Sul discorso catalogo sono d’accordissimo, anch’io nell’articolo ho fatto cenna a quel rischio, che spero sia limitato da qualche clausola. Continua a seguirmi, scrivo recensioni su recensioni su questo blog. Se vuoi essere avvisato di quando pubblico recensioni e articoli, puoi iscriverti alla newletter (https://www.wordsandmusic.it/iscrizione-newsletter/). Riceverai semplicemente una mail di avviso. A presto