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Esperienze in Musica

Aggiornato il 17 Feb, 2022 | Words and Music |
Esperienze in Musica

Vivere esperienze in musica dà sapore alla vita. La musica è un elemento che difficilmente possiamo considerare estraneo alla nostra esistenza. Soprattutto è un elemento che la colora, perché contiene in sé creatività, cultura, sfogo, relax, condivisione, ritmo, danza. Puoi vivere diverse esperienze in musica: puoi ascoltarla, puoi costruirla, puoi suonarla, puoi leggerla, puoi ballarla. In ognuna di queste esperienze in musica la costante è la stessa: ti sentirai bene. Sfido chiunque a obiettare su quello che ho scritto. Cosa ne pensi? Non è un caso che tante delle cose che ci vengono proposte non esisterebbero senza musica. Pensa a un film senza colonna sonora, a un jingle pubblicitario senza un motivetto musicale, a un Natale senza canti natalizi, a un’estate senza tormentoni, a una festa senza musica. Senza che tu necessariamente coltivi una particolare passione per essa, resta il fatto che la musica fa parte della tua vita.

UN PO’ DI STORIA

La musica esiste da sempre. Nelle civiltà primitive era prevalentemente ritmo. L’uomo utilizzava strumenti di percussione primordiali per accompagnare i primi riti collettivi. Poi arrivarono le grandi civiltà antiche. L’uomo intuì che alcuni materiali, vibrando nell’aria, producevano suoni. Alcuni, come il corno, sfruttavano il fiato umano che, incanalato in uno strumento a cono, portava all’emissione di suoni gravi o acuti in base alla quantità d’aria immessa e alla dimensione dello strumento stesso. Altri sfruttavano la vibrazione di corde che, pizzicate sopra una cassa armonica, generavano suoni diversi in base alla dimensione sia della corda sia della cassa armonica. Arrivarono gli strumenti a corda come la lira, con la quale il grande Omero e altri autori del tempo raccontavano storie epiche, accompagnandole con la musica. Perché questo breve excursus storico? Perché si apre una dicotomia: musica come intrattenimento o musica come messaggio?

La musica come intrattenimento

Le esperienze in musica possono essere delle più disparate. La domanda è: cosa cerchi dalla musica? Intrattenimento è una parola forse generica, perché la musica è sempre un intrattenimento. Ma per molte persone la musica è prevalentemente un intrattenimento leggero. Quel mix di ritmo e melodia che ti libera la mente e ti accompagna mentre vivi, mentre chiacchieri, mentre lavori, mentre guidi. In questi casi spesso non badi a elementi di maggiore profondità come il messaggio della canzone o la finezza degli arrangiamenti e dell’esecuzione strumentale. Ti serve musica leggera, con una melodia orecchiabile o con un ritmo incalzante. Qualcosa che ti faccia canticchiare e rilassare, o che semplicemente stia da sottofondo senza impegnarti particolarmente nell’ascolto.

La musica da ballare

Nell’ambito più generale dell’intrattenimento si inserisce la danza. Una vera e propria forma d’arte, se vista come esecuzione professionale e strutturata. Una forma di massimo intrattenimento, se vista nella sua accezione più leggera e spensierata. Da sempre la musica fa ballare. Qualcosa che succede da millenni. Prima ancora di cantare, l’essere umano ha incominciato a muoversi sui ritmi e sulle melodie. Ballare – una cosa che personalmente ho scoperto solo negli ultimi anni – è una delle esperienze in musica più straordinarie. Muovi il corpo in modo armonioso e coordinato, mentre il ritmo ti indica l’intensità del movimento. Ci sono tanti modi per liberare il proprio corpo – pensa solo allo sport – ma il ballo è una vera e propria catarsi, nella quale mente e corpo si uniscono in un unico momento di elevazione.

La musica da suonare

Man mano che le civiltà umane si sono evolute, anche la musica è diventata più complessa. Mentre aumentavano e si affinavano gli strumenti musicali, la musica sperimentò tre momenti chiave. Primo: la musica diventò fine a se stessa. Non più solo accompagnamento di riti, danze, feste, racconti, ma anche musica da ascoltare quale autonoma opera d’arte. Secondo: emerge la figura del musicista, colui che scrive, realizza e suona musica fino a portarla alla sua massima espressione artistica. C’è un terzo risvolto: il virtuosismo, ossia l’abilità sullo strumento musicale per raggiungere il più alto livello di comunicazione di un’emozione tramite la musica. Ancora oggi, tra le esperienze in musica che spesso cerchi, c’è l’ascolto del grande virtuosismo musicale: un difficilissimo assolo di chitarra, ma anche le complesse partiture che persino nella musica popolare si possono sentire, in particolare con strumenti come il pianoforte, l’organo, il sassofono, il basso e la stessa batteria.

LA MUSICA COME MESSAGGIO

La musica è da millenni anche uno strumento di trasferimento di messaggi. A cominciare dal già citato Omero e dagli altri cantori che nell’antichità hanno utilizzato la musica come accompagnamento dei loro poemi epici, per passare nei secoli a quei musicisti che hanno dato vita all’opera classica, applicando la loro musica a una storia da raccontare. Come nel teatro, anche nell’opera si passava dalla commedia alla tragedia e non di rado la musica ha avuto anche un profilo sociale, politico, addirittura rivoluzionario. La storia si è poi ripetuta nei tempi più recenti, quando la musica ha traghettato forti messaggi di poesia e di narrativa, dai canti di libertà degli schiavi neri al ritorno del menestrello che racconta storie o eleva il suo canto di protesta con la sola chitarra in mano. Emerge la figura del cantautore, colui che, pur eventualmente elaborando musica anche strutturata e complessa, ha come scopo principale quello di trasmettere un messaggio, curando quindi l’aspetto lirico. Leggendo molti testi di canzoni di musica popolare si ha netta la sensazione di essere al cospetto di vera poesia e di produzione lirica che assurge senza dubbio al titolo di letteratura. Non è un caso che i più grandi cantautori siano ormai anche materia di studio scolastico. E non è un caso che il sito su cui stai leggendo questo mio articolo si chiami Words & Music.

Un argomento trattato in Coupe DeVille

Ti riporto un breve passaggio in cui Robbie e Sarah, due tra i protagonisti del mio romanzo Coupe DeVille (o Coupe De Ville, come si legge spesso in rete), discutono proprio di questo. Sarah: “Per me la musica è musica e la poesia e la letteratura sono altre cose. La musica è ascolto, ritmo, melodia, esecuzione strumentale. Se invece voglio leggere, allora cerco una poesia o un romanzo.” Robbie: “Ti sbagli, sai? Dimmi… se escludi i ritmi tribali dei primitivi, quando è nata la musica?” Sarah esita nella risposta. Robbie: “Te lo dico io. Con le prime civiltà antiche. Pensa ad Omero! Cosa faceva lui? Cantava i suoi racconti accompagnandosi con una lira. Traghettare poesia e racconti tramite la musica è una cosa vecchia come il mondo.” Sarah: “Wow, non l’avevo mai vista sotto questa luce.”

Tira tu le conclusioni…

  • Da amante della musica ti riconosci in quello che ho scritto? Cosa cerchi nelle tue esperienze in musica?
  • Spiritual, gospel, jazz, folk, fusion, blues, rock’n’roll, country, twist, rock, reggae, pop, punk, funky e tanti altri. Divertiti a inquadrare questi generi nelle categorie che ho descritto nell’articolo.
  • Cosa pensi del dialogo tra Robbie e Sarah? In che posizione ti vedi?
  • Hai già letto Coupe DeVille? In caso affermativo, perché non scrivi una recensione sul mio sito Words and Music (www.wordsandmusic.it)? Fallo cliccando qui

Esprimere se stessi è segno di vitalità e di distinzione. Fallo anche tu e commenta qui.

Dario Migliorini

 

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Dario Migliorini

Dario Migliorini

Autore

Mi presento… sono Dario Migliorini, un giovanotto del 1971 nato a Codogno e residente nel Basso Lodigiano. Convivo con Lara, ho una figlia, Elisa, e sono il primo di quattro fratelli. Mi sono laureato in Economia e Commercio, ma ho ereditato dal mio compianto papà Umberto la passione per la scrittura. Lui, oltre a essere uno storico amministratore locale, si era appassionato di storia lodigiana e aveva scritto diversi libri sull’argomento. Io, dopo la sua morte, ho curato la pubblicazione di due biografie: E Sono Solo Un Uomo (che racconta la vita del sacerdote missionario Don Mario Prandini) e Il Re Povero (che ripercorre tutto quello che mio padre ha combinato su questa terra). Dal 2008 presiedo anche un Centro Culturale che mio padre aveva fondato nel 1991 e che ora porta il suo nome

7 Commenti

  1. anna maria

    ciao dario, io continuo a fare da pioniera in questo blog, i tuoi argomenti mi interessano tantissimo e come sai ho un’intera vita da raccontare, quindi preparati a un’assalto in piena regola!
    comincio dalla musica perchè è quella che ci ha fatto incontrare, se ricordi, sul sito badlands, nell’ormai lontanissimo (era un altro mondo…) 2019, in occasione dei 70 anni di bruce.
    le mie prime esperienze musicali le ho scritte nel libro che avevo tentato di scrivere ma che adesso ho un pò abbandonato. sono andata a rileggerlo dopo quasi due anni e, non so, non mi è piaciuto, buttato giù senza regole, sull’onda di un entusiasmo amplificato anche dai lockdown.
    non so se mai lo riprenderò, ma ci sono tanti episodi che, estrapolati dal contesto, possono fare storia a sè e a qualcuno possono interessare, intanto in questo blog così “desolato” come lo definii tempo fa se ti ricordi.
    qui ho parlato dei miei primi incontri con la magia della musica, e mi sembra il miglior modo per cominciare questa sezione, sperando che altri leggendolo possano sentirsi stimolati a seguirmi (se no che pioniera sarei?)

    Il “vecchio” rock n’roll, quello che ho incontrato quando avevo poco più di dieci anni… quanti ricordi…
    L’estate andavo in vacanza dai nonni in campagna, e quell’anno erano venuti in vacanza lontani parenti con due ragazze un pò più grandi di me. Avevano preso l’abitudine di venire a ballare da noi che avevamo un grande spiazzo di cemento davanti casa, bello liscio che sembrava fatto apposta per quella bisogna. Non ricordo bene che anno fosse, ma era l’anno di “Ritorna a casa Speedy Gonzales”, usciva da ogni jukebox, dalle radio e dai primi mangiadischi, che permettevano di portarsi dietro in ogni luogo la musica preferita. E naturalmente quelle ragazze ne avevano uno. Sono loro che mi hanno iniziato ai piaceri di quel ballo scatenato, insegnandomi, con molta pazienza perchè non avevo quello che si chiama talento naturale, i primi semplici passi. E ricordo che avevano ai piedi delle scarpe fatte apposta per ballare il rock, si chiamavano ballerine, ed erano fatte come i fantasmini di adesso, con l’elastichetto per tenerle aderenti, e una suola morbida che doveva far volare i piedi nelle giravolte acrobatiche del ballo.
    Il primo genere musicale che mi ha interessato con più consapevolezza di quel primo approccio da bambina è stata la musica tradizionale americana.
    Mi piacevano i western, ero un maschiaccio e mi appassionavano tutte le storie di avventura, me lo sognavo anche di notte di andare a cavallo per le praterie del west. E mi facevano sognare le scene con le carovane in cerchio e dentro i coloni che ballavano la sera al suono dei violini. Oh! quanto mi piacevano quelle quadriglie scatenate con le gonne delle ragazze che vorticavano e si gonfiavano come un pallone. E poi c’era sempre il momento di pausa, quando le coppie riprendevano fiato e la musica si addolciva e passava dal ritmo scatenato alle ballate tristi. Non so quale dei due generi preferissi allora, so solo che su queste due strade ha sempre camminato il mio amore e il mio interesse per la musica.
    Con questo bagaglio musicale è stato inevitabile per me restare subito presa dalle prime canzoni di Bob Dylan, che mescolavano la mia musica preferita con le idee rivoluzionarie che si stavano propagando velocemente in tutto il mondo, dall’università di Berckeley, al maggio francese fino ad arrivare al Mamiani di Roma, dove vivacchiavo come la classica alunna di cui i professori dicevano “E’ intelligente ma non si applica, potrebbe fare di più” ed era proprio così, studiavo ma avevo la testa piena di sogni, che coincidevano come per magia con quelli di tutti i giovani che marciavano per la pace, la giustizia, la rivoluzione.

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    • Dario Migliorini

      Carissima Anna Maria, è davvero un piacere leggere i tuoi ricordi legati alla musica e a un periodo che io non ho potuto vivere. Per fortuna ho potuto recuperare la musica di quegli anni, che poi è quella che preferisco, ma certamente avere vissuto la fibrillazione, la rivoluzione di quel periodo, è qualcosa di impareggiabile. Continua a raccontarmi queste tue memorie e, se ti viene in mente un aneddoto particolare, legato alla musica di quegli anni, potremmo scrivere insieme non solo un commento, ma un vero articolo.

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  2. ANNA MARIA

    beh, restringendo il campo solo al quel periodo particolare ci sono due, forse tre episodi che potrebbero essere interessanti. uno di cui ho scritto non molto tempo fa in un post che parlava del primo concerto a roma dei who.
    forse ti è capitato di leggerlo, non era su uno dei nostri gruppi e non so se, avendo noi l’amicizia su facebook, ti arrivano le notifiche di tutti i commenti degli amici.
    poi potrei parlare della morte di luigi tenco, anche su questo ho scritto parecchi commenti. è un episodio che mi ha toccato moltissimo e ricordo di aver scritto una lettera al giornale big, il “nostro” giornale di quel tempo, e con mia somma incredulità, è stata pubblicata.
    poi mi viene in mente il modo in cui ho conosciuto fabrizio de andrè, che forse è il modo in cui l’hanno conosciuto tutti in quel periodo, ante marinella cantata da mina. e cioè nelle gite scolastiche dove nascevano i primi amori, e dove c’era sempre uno che strimpellando una chitarra ci spalancava il mondo ancora sconosciuto di fabrizio.
    per ora mi viene in mente solo questo, ma scavando scavando nella mia memoria potrei trovare altre “perle” non belle come le tue, ma tu avresti la capacità di abbellirle.

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    • Dario Migliorini

      Cara Anna Maria, un articolo sulla morte di Tenco e su quello che ha rappresentato? Fantastico. Se sviluppi la tua creatività e le tue memorie ci potrebbe essere materiale per un articolo? Pensaci

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  3. ANNA MARIA

    va bene, ci provo.
    se vogliamo chiamarlo “pomposamente” (come dico sempre io del mio libro) articolo, sarà un atto di ottimismo e di coraggio, ma, del resto, we were born to run, no?
    dunque, vogliamo cominciare da “che cosa ha rappresentato”?
    era il 1967 e avevo 17 anni. c’ erano nell’aria i “primi vagiti del sessantotto”, non era ancora esploso ma le prime avvisaglie c’erano tutte.
    con il successo planetario dei beatles l’universo dei giovani si stava prendendo la scena dell’attualità. era un fenomeno nuovo che incuriosiva, accendeva dibattiti in tv, scorrevano fiumi d’inchiostro su tutti i giornali, la moda si appropriava del fenomeno e mary quant e courreges fecero la loro fortuna con la minigonna e gli abiti optical bianchi e neri.
    la musica ascoltata fino ad allora comincia ad avere un gusto di stantio, travolta dal fenomeno del beat e dei complessi (allora si chiamavano così) che lo suonavano.
    e l’italia dei capuleti e montecchi si divise subito in due schiere contrapposte, i conservatori che difendevano ferocemente la tradizione, il bel canto, i reucci e le regine e disprezzavano quei “capelloni” brutti sporchi e cattivi, e i rivoluzionari entusiasti di questa nuova musica che portava con sè non solo note, ma anche una visione diversa della vita, una speranza di cambiamento e sembrava prendere per mano tutti quei giovani scontenti che di lì a poco avrebbero riempito le piazze con i loro cortei.
    e quale campo di battaglia migliore si poteva trovare per combattere questa epica guerra? ma naturalmente il festival di sanremo, che allora si trascinava stancamente come un carrozzone arrugginito pieno di vecchie glorie ma anche di qualche volto giovane acqua e sapone, come gigliola cinquetti e bobby solo, da contrapporre alla marea montante dei giovani ribelli.
    ma il fenomeno era inarrestabile, trasmissioni innovative come “per voi giovani” in tv, o “bandiera gialla” alla radio prendono il sopravvento nonostante i funzionari parrucconi della rai.
    ma non c’era solo la musica “beat” a movimentare quegli anni.
    le urgenze di ribellione crearono il fenomeno del cantautorato, giovani musicisti che ritenevano di avere qualcosa di importante da dire e mettevano in musica le loro emozioni, i loro messaggi, spingendo progressivamente la musica “leggera” a una dimensione più importante, più poetica, una strada che porterà dopo 50 anni il premio nobel a un menestrello di duluth.
    noi che adesso abbiamo potuto conoscere e amare centinaia di bravi cantautori forse non riusciamo a renderci conto di come sia stata dura per quei primi pionieri la strada del successo.
    ed è qui si inserisce il destino di luigi tenco, uno dei primi cantautori italiani e non certo quello di maggior successo.
    aveva un carattere molto tormentato, o almeno così lo descrivono le cronache dell’epoca. ma era bellissimo, con quegli occhi inquieti che sembravano guardare dentro le sue stesse inquietudini.
    il 17° festival era stato strombazzato come il festival dell’innovazione, ma era solo fumo negli occhi. i veri artisti venivano cacciati a calci e venivano premiati i falsi, quelli che per avere successo e vendere migliaia di dischi scimmiottavano musiche e poetiche che non sentivano.
    chissà come era riuscito a entrarci al festival, lui lontano mille miglia da quello spirito, da quell’evento più mondano che musicale.
    forse perchè sperava di far conoscere la sua musica a un pubblico meno ristretto e di elite di quello che lo aveva seguito fino ad allora. ma già la scelta di dalidà come seconda interprete della sua canzone aveva un che di artificioso, e la presunta relazione amorosa tra i due aveva tutta l’aria di un gossip costruito a tavolino per stuzzicare il grande pubblico.
    c’era stata poi una sorta di autocensura che lo aveva spinto a cambiare la prima versione di quella che era nata come una canzone antimilitarista, anche se la seconda versione non è che fosse meno ostica per il pubblico alto borghese del teatro ariston, una sorta di “che sarà” ante litteram, ma più dura e meno elegiaca.
    credo che tutti questi compromessi accettati obtorto collo abbiano avuto un ruolo non secondario nella tragedia che successe dopo. lui che faceva del rigore morale e della coerenza un punto irrinunciabile del suo percorso artistico, si era convinto, anche se a malincuore, di dover scendere a qualche compromesso per poter imporsi a una platea più vasta.
    ed essere stato eliminato, possiamo dire così brutalmente?, nonostante tutto l’impegno che ci aveva messo, deve essere stato un colpo troppo duro da mandar giù.
    tutto questo accettando il fatto che si sia davvero suicidato, cosa su cui col tempo ho nutrito forti dubbi. leggendo le cronache dell’epoca e le successive ricostruzioni si rimane sconcertati dal modo superficiale in cui furono condotte le indagini e dalle tante incongruenze che piano piano sono uscite fuori. ma quella più agghiacciante di tutte fu il fatto che il povero cadavere, dopo essere stato portato all’obitorio, fu trafugato in tutta fretta e riportato nella stanza d’albergo perchè si erano dimenticati di fare le foto!
    del resto anch’io, non appena sentita la notizia che erano state ripescate quelle due canzoni, “la rivoluzione”, scritta per appropriarsi con furbizia dei temi allora caldi della contestazione giovanile, e “io tu e le rose” classica canzoncina mielosa dell’orietta nazionale, ho avuto un moto di rabbia.
    e come faccio di solito quando la mia rabbia è incontenibile, ho preso carta e penna e ho scritto una lunga lettera al giornale “big”. era la bibbia di noi ragazzi contestatori e, con mia grande sorpresa LA PUBBLICO’!
    ho conservato per anni le copie di quei giornali, ma quando me ne sono andata di casa mia madre si è affrettata a fare piazza pulita! e ha fatto sparire anche il mio fido registratore geloso, compagno dei miei bootleg ante litteram, con cui avevo registrato l’esibizione di luigi.
    l’ho ritrovato dopo tanti anni dentro una vecchia cantina in campagna dai nonni, ma non funzionava più. ero decisa a portarlo ad aggiustare, dopo aver saputo che per tanto tempo non si erano ritrovate registrazioni di quella interpretazione.
    chissà, forse poteva valere una fortuna, ma dopo l’ennesimo e questa volta definitivo addio alla mia famiglia non mi sono ricordata di riprenderlo ed è rimasto dentro quella polverosa cantina.

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    • Dario Migliorini

      Carissima Anna Maria
      grazie per la tua storia. Me l’hai postata qui come commento e va benissimo. Nel tempo poi ci lavoriamo e lo trasformiamo in un vero e proprio articolo che, come ti ho anticipato, ha le sue regole e quindi va reimpostato secondo certe modalità che ti dirò. Ho la tua mail, ti contatterò in privato per questo.

      Rispondi
  4. ANNA MARIA

    ok!

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