Quando una canzone diventa un film! Hai mai visto il film The Indian Runner (titolo italiano: Lupo Solitario)? Nel 1982 uscì l’album Nebraska di Bruce Springsteen e tra le sue perle c’è Highway Patrolman, un semplice pezzo folk acustico che racconta una storia intrigante e commovente, di quelle che stimolano chi ascolta a porsi tante domande. Domande che, ascoltando Highway Patrolman, si pose il celebre attore Sean Penn il quale, alla sua prima esperienza alla regia, ne fu catturato e impostò la sceneggiatura di un lungometraggio. Highway Patrolman, da canzone amata solo dai fan di Springsteen, è così divenuta un brano noto al pubblico più vasto. La canzone porta in risalto il tema dell’amore fraterno, ma lo incrocia con un altro tema forte, molto presente in Nebraska: la giustizia. Quella istituzionale da una parte e quella che, in un modo o nell’altro, gli uomini spesso si fabbricano da soli dall’altra.
FRATELLI DIVERSI
Highway Patrolman (leggi la traduzione qui) accoglie una piccola storia di provincia che in realtà porta in risalto altri temi rilevanti, oltre a quelli già citati: l’amore fraterno e il senso di giustizia, ma anche i disagi economici e le ferite nell’anima, ancor più che nel corpo, lasciate dalla guerra. E tutte le pesanti conseguenze che tutti questi fattori determinano sulla vita delle persone. Joe e Franky Roberts sono due fratelli del Michigan. Il primo è sempre stato quello giusto, ha lavorato duro nella fattoria di famiglia e poi, in seguito alla crisi economica, ha rinunciato all’attività agricola ed è diventato sergente di polizia. Il secondo è un disoccupato, vive da disadattato e, dopo essere stato in guerra nel Vietnam, è tornato ancora più emarginato. I due fratelli sembrano vivere in armonia per lungo tempo: le feste, i balli, le bevute insieme. Ma un elemento, la giustizia, si mette tra loro.
Dov’è il giusto?
Joe diventa uomo delle istituzioni, uno che deve far rispettare le regole. Di fronte alle intemperanze di Franky, però, vive un profondo dilemma interiore: deve prevalere l’amore o la giustizia? Joe è un uomo giusto e fermo e, in quanto tale, dovrebbe darsi una risposta che non ammette indugi. Eppure, nonostante la sua rettitudine, non riesce a portare Franky al cospetto della legge. Si arma di pazienza, lo copre e lo perdona. Lo riprende e tenta di indicargli il limite di ciò che può e non può fare ma, quando la misura è colma e deve fargli pagare le sue colpe, non lo arresta. Interviene quell’amore fraterno e un quesito si impone: come può, Joe, fare il bene di Franky? Arrestandolo lo priverebbe della libertà, il bene più grande dopo la vita stessa. Ma, nello stesso tempo, potrebbe contribuire a infondergli quel senso di giustizia e di disciplina che gli manca.
La rinuncia al dovere
Un giorno Joe si trova davanti al punto di non ritorno. Franky, in una rissa, ferisce gravemente un altro uomo. Non sappiamo se l’uomo muore, ma non è questo il punto. Come in Johnny 99, anche in Highway Patrolman c’è un colpevole che usa violenza e un innocente che la subisce. Franky fugge e proprio Joe si ritrova a inseguirlo, ma proprio quando lo sta braccando, sapendo che manca poco al confine col Canada, lo lascia andare verso il suo destino. Si rimorde Joe, perché ha mancato verso quella stessa legge che lui rappresenta, ma nel contempo ricorda i tanti bei momenti passati a ridere e a ballare insieme, quasi che cerchi nell’amore fraterno il motivo di redenzione dal peccato commesso. E alla fine di ogni ritornello questa ricerca di redenzione torna in un verso lapidario: “Un uomo che volta le spalle alla propria famiglia è un poco di buono”.
Il grande narratore
La grandezza dello Springsteen narratore in Highway Patrolman, come in tutto l’album Nebraska, sta nel raccontarci storie che hanno a che fare con la giustizia, ma affondano nell’umanità più genuina e profonda. Bruce ci induce a scavare nella nostra anima per sondare quel confine così sottile tra il concetto di ciò che è giusto per la società e per la convivenza civile e il senso di ciò che è giusto per l’individuo e per la personale vicenda umana. Un conflitto tra la ragione e le emozioni, comprese le debolezze. La scena in cui Joe, dopo aver visto il cartello che informa del prossimo confine con il Canada, decide di parcheggiare l’auto sul bordo della strada, lasciando che Franky affronti da reietto il resto dei suoi giorni, è fondamentale per il destino di entrambi. Per Franky, ma anche per Joe, la cui vita cambierà drasticamente da quel giorno.
LA STORIA DEL FOLK IN UNA CANZONE
Il testo di Highway Patrolman è accompagnato da una classica canzone folk di tre accordi che si inseguono tra strofe e ritornelli. Alla base un arpeggio nudo di chitarra, senza fronzoli, che non si modifica per tutta la canzone. Non c’è nient’altro, non un controcanto, non un tappeto di organo, solo un breve inserto di armonica e una parte appena percettibile di mandolino, limitatamente alla seconda strofa. La scelta di Springsteen è di far emergere la storia, senza che l’ascoltatore sia distratto da altro. Una canzone che per il tema e per il genere si inserisce pienamente nella grande tradizione folk americana. È una delle principali canzoni con cui Springsteen accetta l’importante eredità di Woody Guthrie, di Pete Seeger, di Bob Dylan. Non ultimo, di Johnny Cash, il grande cantautore country folk che, tra l’altro, ha inciso una sua versione di Highway Patrolman, in piena e dichiarata ammirazione verso quel giovane cantautore del New Jersey.
Curiosità
Lupo Solitario, per la regia di Sean Penn, ha una trama che non è vagamente ispirata a Highway Patrolman, ma ne è l’esatta trasposizione cinematografica. Infatti, se si escludono alcune integrazioni che Penn inevitabilmente introdusse per completare un film di oltre due ore, la storia narrata è identica a quella della canzone di Springsteen, compresi i nomi dei protagonisti. Penn ottenne per il suo film un cast eccezionale. Ci sono il bravissimo David Morse e il superlativo Viggo Mortensen nella parte dei due protagonisti, ma anche celebrità del calibro di Charles Bronson, Patricia Arquette, Benicio Del Toro e Dennis Hopper. Inoltre il principale personaggio femminile (Maria, sposa di Joe Roberts), è interpretato dall’italiana Valeria Golino. Un film che si inserisce di diritto nel gruppo di grandi film sui drammi della provincia americana, in compagnia di quelli dei fratelli Coen e di Badlands di Terrence Malick, che ispirò Bruce per la canzone Nebraska.
Tira tu le conclusioni…
- Hai già sentito Highway Patrolman di Springsteen? Oltre alla versione di Nebraska, ti segnalo le versioni full band dal vivo, sia con la E Street Band, sia con la Seeger Sessions Band, e la citata cover del grande Johnny Cash.
- Ti piace il folk? Una musica relativamente semplice, ma spesso portatrice di messaggi importanti e di veri testi letterari.
- Hai visto il film Indian Runner (Lupo Solitario nella versione in italiano)? Guardalo e dimmi cosa ne pensi.
- Giustizia o sentimenti? Cos’avrebbe dovuto fare, secondo te, Joe, il fratello sergente di polizia?
Esprimere se stessi è segno di vitalità e di distinzione. Fallo anche tu e commenta qui.
Cioa Dario, da “Like a Vision – Bruce Springsteen e il Cinema” di Paola Jappelli e Gianni Scognamiglio
🙂
THE INDIAN RUNNER / LUPO SOLITARIO – USA (1991)
Director: Sean Penn
Interamente ispirato ad Highway Patrolman dell’album Nebraska del 1982
Sean Penn, fidanzato nel 1982 con Pam Springsteen (con la quale appare anche in Fast Times at Ridgemont High, di Amy Heckerling, 1982), dichiarò di essere rimasto profondamente colpito dall’album Nebraska e in particolare dal brano Highway Patrolman. Ne parlò con Springsteen che non esitò a cedergliela per il suo film d’esordio. Come dichiarato nei credits dal regista, trama, personaggi, ambientazione e finanche lo stile narrativo sono la precisa trascrizione cinematografica della canzone di Springsteen che narra la la storia di Joe Roberts preso tra famiglia e responsabilità, dovere e amore, e si trova lacerato tra scelte difficili: «I get a call over the radio Franky’s in trouble downtown/ Well if it was any other man, I’d put him straight away/ But when it’s your brother sometimes you look the other way». Penn sceglie finanche un set springsteeniano (Omaha in Nebraska) e conserva i nomi dei protagonisti, le tonalità e l’essenzialità della canzone, a testimonianza della densità e autenticità del messaggio di Springsteen. Bruce commenterà: «Mi piace molto il film di Sean: fa quello che ogni buon cineasta deve fare […]. Racconta la mia storia, ma racconta anche la sua. Sean ha uno stile abbastanza grezzo, una rozzezza cui non si è più granché abituati nel cinema americano contemporaneo. Mi ricorda l’epoca degli anni ’70, quando film come Taxi Driver avevano grande successo di cassetta. Quando ci si pensa, è difficile da credersi oggi: Scorsese era il mainstream e i film di grande successo erano film come Taxi Driver. Sean è uno dei rari cineasti di oggi che mi rimandano a quella bella epoca del cinema americano, quella degli Scorsese, i De Palma, gli Schrader… (Max Stefani, Un americano a Parigi (intervista a Bruce Springsteen),“Il Mucchio Selvaggio”, n.272, Settembre 1997, p. 57».
Ci vediamo il 23 Aprile! un abbraccio
Carissimi, grazie di aver integrato con la sezione di Like A Vision che parla di Highway Patrolman. Ho letto Like A Vision qualche mese fa e ne sono entusiasta. Nonostante sia un buon conoscitore di tutto ciò che riguarda Bruce, lì ho trovato tante altre notizie che non conoscevo. Essendo poi un amante del cinema, con il vostro libro sono andato a nozze. Un libro Must, uno springsteeniano non può non averlo. Complimenti per aver avuto l’idea e per il lavoro che avete svolto. Dario
stavolta sono leggermente fuori dal coro.
grazie per avermi segnalato il film che naturalmente mi sono precipitata a guardare.
beh, non posso dire che mi sia piaciuto.
sì, sembra proprio la stessa storia della canzone, ma insomma, bruce è bruce ed è difficile uguagliarlo.
ha raccontato una storia in pochi minuti di musica e il pathos che c’è nella canzone manca nel film.
forse se fosse stato più corto sarebbe stato più godibile, in certi momenti la noia si è fatta sentire.
ma la cosa che più si discosta dallo spirito della canzone è il personaggio di franky.
forse sbaglierò io, ma nella mia immaginazione l’avevo visto diverso.
un ragazzino discolo come ce ne sono tanti che crescendo, invece di maturare come succede a tutti, rimane discolo anche da grande, aiutato in questo dal disagio psicologico di reduce del vietnam.
lo immaginavo come uno che si comporta male, segue cattive compagnie che gli fanno fare qualche cazzata, ma non quella specie di psicopatico molto sopra le righe.
si sa per certo se a bruce sia piaciuto o no? beh, io penso di no. al di là di un’ammirazione quasi dovuta essendo sean penn suo amico, nel suo intimo non credo che lo abbia apprezzato troppo. è solo una mia sensazione naturalmente.
lo sapete che anche sean è di origini italo irlandesi?
lascio da parte il film per dire un’ultima cosa sulla canzone.
la prima volta che l’ho sentita mi ha molto colpito quella frase ripetuta a ogni ritornello (non so se questo è il termine giusto),
“un uomo che volta le spalle alla propria famiglia non è buono”
perchè in effetti questo è il fulcro su cui poggia il culto della famiglia tradizionale, culto che noi giovani nel 68 abbiamo cercato di abbattere.
quante volte ho sentito mia suocera pronunciare queste parole, in modo diretto o in modo velato!
per lei la famiglia di origine era la cosa più importante, più di un marito che nella mentalità provinciale era considerato “sangue aggiunto” quindi membro di serie b, e alla fine anche più dei figli, considerati solo un contenitore da riempire per perpetrare nel tempo gli stessi valori.
quando io e mio marito siamo riusciti a comprare una casa nostra, dopo qualche anno che vivevamo insieme con un fratello, ci ha rinfacciato per anni di averlo abbandonato. e esattamente con le stesse parole di bruce, “ain’t no good”!
che poi si vedevano quasi tutti i giorni facendo lo stesso lavoro, ma niente, per lei mio marito aveva il dovere morale di accollarsi anche il fratello!
ho dovuto combattere per tutta la vita contro questa mentalità che non condividevo, e so quanto è radicata e totalizzante.
bruce è un uomo del nostro sud, nessuno come me riesce a vederlo meglio.
Cara Anna Maria, la tua considerazione sul film è uno stimolo a riguardarlo. L’ho visto solo una volta anni fa, ricordo che mi era piaciuto, ma certamente era anche forte l’emozione di vedere un film tratto da una canzone di Bruce.
Per ciò che riguarda la canzone, certo in questo caso si parla di un affetto familiare, ma penso che si possa leggere anche in un’ottica più ampia. In generale quando si è legati a una persona e ci si ritrova a infrangere la legge per complicità, oppure a non farla rispettare, oppure ancora a far finta di non aver visto nulla. Tutto per difendere gli affetti. A volte affetti e giustizia vanno in contrasto. Ti anticipo un segreto: il mio prossimo romanzo sarà tutto incentrato su questo tema.