Sei mai stato alla sorgente del fiume Po? Io ci sono stato pochi giorni fa e, come in altre occasioni, ho sofferto di una forma blanda (e del tutto piacevole) di Sindrome di Stendhal, il disturbo che si manifesta con una sensazione di malessere diffuso di fronte a opere d’arte o architettoniche di notevole bellezza, specialmente se si trovano in spazi limitati o chiusi. Questa sindrome ha preso il nome dal celebre scrittore francese che, uscendo dalla Basilica di Santa Croce a Firenze, iniziò a sentirsi perso, come se gli mancasse l’equilibrio e non sapesse più dove fosse. Io non soffro di questi sintomi, sicuramente non davanti alle opere d’arte in senso stretto, tanto meno in spazi chiusi. Ma se ampliamo il concetto alle intense emozioni che si provano davanti a luoghi belli, posso dire di soffrire di qualcosa di simile. Quando vedo un monumento, un luogo particolare, anche una magnificenza della natura, mi capita di stare diversi minuti a guardarla e, anche quando me ne allontano, continuo a voltarmi per poter godere ancora un attimo di quella vista. In alcuni casi mi viene anche un principio di pianto.

La sorgente del fiume Po

È quello che mi è successo anche in questi giorni quando, insieme a mia figlia, mi sono recato alla sorgente del fiume Po a Pian del Re, sulle pendici del Monviso, montagna peraltro straordinariamente bella. Erano anni che desideravo andarci, ma non l’avevo mai fatto. Maledetta pigrizia! Così, anno dopo anno, ho accumulato la voglia, quasi il bisogno di vedere la sorgente del fiume Po. Un desiderio che ho esaudito solo adesso, a 52 anni. Quando sono arrivato davanti alla pietra che individua il punto esatto della sorgente ho sentito un grande brivido e sono rimasto diversi minuti a fissare quel luogo, stando immobile. Un’emozione indescrivibile, che ha trovato la sua sublimazione quando mi sono chinato e ho bevuto un po’ di quell’acqua. Sì, perché sotto quel masso il torrente Po, come viene chiamato nei suoi primi tratti, sgorga con le sue acque limpide e chiare, innocenti e timide.

Il Grande Fiume nella storia

Ci sono diverse ragioni che motivano questa mia particolare emozione. La prima è una generale passione per la conoscenza dei luoghi, per l’orientamento e per la geografia. Quel piccolo torrente, scendendo dal Monviso, lentamente, nel corso di milioni di anni ha formato la Pianura Padana. Ora è il fiume più lungo d’Italia con i suoi 652 km, interamente percorsi sul territorio italiano. Il fiume Po non è solo il fiume più lungo e con il maggiore bacino idrico d’Italia, ma anche una grandissima fonte di ricchezza per il Nord Italia e per tutto il Bel Paese. Le zone più ricche del mondo sono quelle con tanta acqua, quando l’uomo è stato capace di sfruttarne la presenza e l’energia. Il fiume Po con i suoi affluenti è stato determinante già nell’antichità e poi nel corso dei secoli per il trasporto delle merci e per l’irrigazione della fertile pianura. Ma ancora più di recente, nel corso della rivoluzione industriale, quando la forza delle acque era fondamentale per generare energia.

La cultura del Grande Fiume

Ma al di là di questi elementi generali il mio legame con il fiume Po è soprattutto motivato da ragioni personali. Abito da sempre in un piccolo paese sulla sponda lombarda del Po. La cultura del Grande Fiume, nella mia terra lontana dal mare e dalle montagne, non è dissimile a quella cantata da Giovannino Guareschi nei suoi racconti, in particolare in quelli celebri di Don Camillo e Peppone. Legati al fiume Po ci sono molti dei miei ricordi. A cominciare dalla venerazione che mio padre Umberto, amministratore e studioso di questi luoghi, ha sempre avuto per il fiume. Vi ha organizzato feste, rievocazioni e celebrazioni storiche, civili e religiose. Ha studiato e poi scritto libri sul corso del fiume Po nei secoli, sulle origini dei nostri borghi e sulle tradizioni di questi territori.

Il fiume Po a Corno Giovine

Già questo basterebbe per motivare la mia emozione di andare a scoprire il posto dove il Grande Fiume sgorga nella forma di piccolo ruscello. Ma ci sono altre ragioni. Il Po nel territorio del mio paesello, Corno Giovine, forma una grande ansa, in mezzo ai boschi e nella natura ancora incontaminata. Un’ansa così grande da assomigliare a un lago. Proprio al culmine di quell’ansa, oltre l’argine sorge una cappelletta denominata dei Morti della Porchera, mentre verso il fiume, sopra un terrazzamento, c’è un luogo incantato. Un angolo di mondo in cui ti sembra di tornare laddove la vita è fatto ancora di tempi lenti e di genuinità. Lì sorge uno chalet dove è ancora possibile bere un bicchiere di vino nostrano, accompagnato dai buoni affettati e formaggi lodigiani o del vicino Piacentino (da non perdere la coppa piacentina e il gorgonzola lodigiano con la polenta abbrustolito), mentre si osserva il Grande Fiume che, silenzioso e placido, scorre verso la sua foce a delta. All’ombra di quello chalet, che noi chiamiamo Il Cacin, ho passato tantissimi momenti di famiglia e di compagnia, qualcosa che si ripete ogni volta che voglio passare pomeriggi o serate spensierate e lontane da ogni preoccupazione. Porto la chitarra, l’armonica a bocca, un canzoniere e mi accompagno con le persone giuste. Bastano questi pochi ingredienti per far diventare la serata indimenticabile. Ma l’ingrediente più affascinante resta lui, il fiume Po, quell’immenso corso d’acqua che, dopo essere stato vivace e impetuoso come un bambino nelle sue cascatelle e nei suoi rigagnoli a Pian del Re, cresce, cresce, cresce, fino a trovar pace nella grande Pianura Padana, anche a Corno Giovine, il mio piccolo paese.

 

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Dario Migliorini

 

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