Prison Trilogy è il brano di apertura dell’album Come From The Shadow, pubblicato nel 1972 dalla cantante statunitense Joan Baez. Nota per le sue battaglie a favore dei diritti civili, soprattutto nell’ambito della controcultura degli anni ’60, Joan Baez scrisse Prison Trilogy come canzone-manifesto contro la durezza delle carceri, spingendosi addirittura a chiederne a gran voce l’eliminazione e a promuovere il recupero attivo dei detenuti nella società. Un argomento allora molto forte, ma ancora attuale, nell’idea che le carceri rappresentino l’annullamento dell’uomo e non un suo pieno reinserimento nella società civile. La cantante, nota anche per la sua relazione con Bob Dylan proprio in quegli anni ’60, decise di dare a Prison Trilogy la forma della canzone country folk, il suo genere principe prima di svoltare verso un soft rock meno tradizionale e verso temi meno rigorosamente impegnati nella conquista dei diritti civili perseguita negli anni caldi della protesta giovanile.
TRE STORIE DI EMARGINAZIONE E DETENZIONE
Il nome stesso, Prison Trilogy (Trilogia della Prigione), suggerisce il contenuto lirico della canzone. Joan Baez decise di impostare il testo come se fosse un libro di tre diversi racconti. Tre storie che raccontano di detenuti presso penitenziari americani, tutti dislocati nell’Ovest degli Stati Uniti d’America (il primo in Arizona, gli altri due in Texas). Tre personaggi e tre situazioni molto diverse che però hanno in comune la presenza di piccoli fuorilegge, detenuti per reati non gravi, che soffrono per diversi motivi la mancanza di libertà. E tutti avranno la peggio. Con queste storie Joan Baez volle sensibilizzare la società civile sulla durezza delle carceri e, ancora di più, sul fallimento della detenzione carceraria come meccanismo di riabilitazione dei reclusi una volta scontata la pena. Alla fine del secondo e del terzo inciso la grande “pasionaria” decise di esplicitare il suo forte attacco all’istituzione carceraria: “E raderemo al suolo le galere, aiutateci a radere al suolo le galere!”
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Billy Rose
In uno schema narrativo che si ripete in tutti gli episodi (presentazione del personaggio e motivo della carcerazione, evento scatenante del disagio e fine tragica), la prima storia narra di un giovane delinquente che, in seguito a liti notturne e guida di auto rubate in stato di ebbrezza, venne incarcerato in Arizona. Essendo facile alla rissa, un giorno Billy Rose aggredì un secondino graduato che gli rifiutava del latte e venne per questo punito. Stanco di quelle privazioni, una notte decise di farla finita, impiccandosi in una cella di isolamento e lasciando un biglietto in cui chiedeva solo che il suo corpo venisse riportato a casa sua.
Luna il messicano
Nella seconda storia si narra la vicenda di un giovane messicano, marito e padre, che riuscì furtivamente ad attraversare con la sua famiglia la frontiera texana tra Messico e Stati Uniti, nuotando lungo il Rio Grande. La classica storia di emigrazione clandestina dal Messico che ancora oggi vede protagonisti messicani che cercano fortuna, o almeno una sistemazione dignitosa, nel ricco nord-ovest americano. Le cose, però, voltarono per il peggio e Luna fu incarcerato in una prigione del Texas, lasciando sua moglie e suo figlio al loro destino. Il dolore del distacco e la privazione della libertà lo turbarono al punto che il giovane iniziò a drogarsi in carcere, fino a morire a causa di un’overdose, senza che qualcuno si curasse del suo stato.
Il vecchio Kilowatt
L’ultima storia ci presenta le vicissitudini di un uomo anziano, un piccolo imbroglione di 65 anni che, a causa dei suoi continui piccoli illeciti aveva sommato 35 anni di carcere. Giunto al termine del periodo di detenzione, pur provando smarrimento per una sensazione di libertà che stava ritrovando ma che non conosceva più, voleva finalmente ritirarsi in una vita serena per godere l’ultimo scampolo di vita che il destino gli avrebbe concesso. Proprio nel giorno del rilascio, però, gli fu comunicato che lo Stato aveva stabilito un supplemento di pena che lo avrebbe tenuto in carcere per altri dieci anni. Il vecchio Kilowatt, disperato, provò a scappare dai suoi guardiani e corse sotto il cielo cocente del Texas, ma un malore lo colse, uccidendolo. “Tanto valeva che abbattessero quel vecchio” è l’amara conclusione di Joan Baez negli ultimi versi della canzone.
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L’ECCELLENZA DEL COUNTRY FOLK
Prison Trilogy (leggi la traduzione qui) è strutturata in modo molto ordinato per assecondare la narrazione delle tre vicende cantate da Joan Baez. Ogni storia infatti occupa 2 strofe e un inciso che si conclude con il triste epilogo. Non ci sono veri ritornelli, ma la fine dell’inciso racchiude per ogni storia un messaggio univoco teso non solo a prendersi cura dei corpi senza vita dei tre protagonisti, ma anche a lanciare l’urlo di battaglia della combattiva cantante contro il regime carcerario. In una canzone che non prevede intermezzi musicali, ciò che colpisce di Prison Trilogy, nella sua semplicità musicale e nelle sue sonorità tradizionali, è la bellezza degli arrangiamenti country folk, con una ritmica country veloce e il rullante battuto con le spazzole, un eccellente lavoro di arpeggio in fingerpicking sulla chitarra acustica e le bellissime trame sul cantato apportate da una seconda chitarra acustica, che potremmo definire solista, dalla pedal steel guitar (che entra dalla seconda strofa insieme al povero Luna) e, ancora di più, da una splendida armonica a bocca che accompagna nella terza strofa la triste storia del vecchio Kilowatt. Sopra tutto questo, la voce piena di corpo e di passione di Joan Baez, da sempre impostata con un particolare vibrato e con un’ampia estensione vocale che copre ben tre ottave. Un brano e una voce che non possono che far commuovere ed emozionare.
Curiosità
Nonostante fu pubblicata nel 1972, quindi ben oltre gli anni più accesi della controcultura degli anni ’60 culminati con i grandi raduni rock di Monterey e di Woodstock, Prison Trilogy è tra le canzoni più note di Joan Baez e tra i grandi classici del folk più impegnato di quel periodo. Paradossalmente, sia allora sia oggi, molte persone si riferiscono a Prison Trilogy chiamandola semplicemente Billy Rose, ossia con il nome del primo dei tre personaggi cantati nel brano. Quel nome era così evocativo che già allora la stessa Baez decise di dare alla canzone il sottotitolo Billy Rose, agevolandone in qualche modo anche la memorizzazione da parte del pubblico.
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