Born In The USA è la canzone d’apertura e la title track dell’omonimo album di Bruce Springsteen del 1984. Se l’album ha rappresentato per Bruce il definitivo successo di pubblico a livello planetario, la canzone Born In The USA ne è stato il singolo di maggiore successo, insieme a Dancing In The Dark. Sicuramente Born In The USA è tuttora la canzone più iconica di Springsteen, almeno per il pubblico indistinto, perché fu in quel momento e con questa canzone che si diffuse l’immagine dello Springsteen statuario, muscoloso e possente. Proprio questa nuova immagine contribuì però a portare sulla canzone una diffusa errata interpretazione del suo significato, in quanto la sua nuova icona toglieva rilevanza al durissimo senso del testo, fino a nasconderlo.
Fuori da Nebraska
Dopo l’entusiasmante The River Tour che abbracciò il biennio 1980/1981 Bruce Springsteen si rese conto che per sostenere quelle vere e proprie maratone rock che erano i suoi concerti doveva rafforzare il proprio fisico. Fu così una sorpresa per tutti quando, con il lancio dei primi singoli estratti da Born In The USA e l’inizio del suo monumentale tour, Bruce apparve sulla scena con un fisico da culturista. Ma non era tutto: il titolo solenne della canzone e dell’album, l’opzione di una copertina che nei colori richiamava quelli della bandiera americana, la scelta di utilizzare proprio il vessillo a stelle e strisce come sfondo del palcoscenico durante il tour, fecero apparire Springsteen come un patriota, l’emblema della grandezza americana, portando il pubblico a dimenticare la forte critica alla propria nazione che lo stesso Bruce esprimeva nella canzone. Il mondo conservatore americano provò persino ad approfittare di questa sua nuova immagine e il popolo americano lo prese a simbolo della rinascita dell’America dopo la lunghissima parentesi negativa della guerra in Vietnam e delle crisi politiche, economiche e sociali degli anni ’70.
Nessun posto dove andare
In realtà Born In The USA è tutt’altro (leggi qui la traduzione). In essa Bruce Springsteen esprime il contrasto tra l’orgoglio di appartenenza a una nazione, suggellata dal pugno alzato al cielo durante il canto del ritornello, e la consapevolezza critica, fino alla denuncia, delle scelte compiute dalle amministrazioni americane in tema di guerra e di tutela dei veterani tornati dal Vietnam. La forte critica alle scelte di una nazione che ha mandato in guerra i suoi giovani e se ne è poi dimenticata al loro ritorno, sempre che abbiano avuto la fortuna di tornare. In un testo non particolarmente fluente, nel quale Springsteen compie per l’ennesima volta il miracolo di raccontare una storia in pochi versi, troviamo la vicenda di due fratelli, provenienti da una famiglia umile ed emarginata (“nato in una città di morti, il primo calcio che ho preso è stato quando ho toccato terra“), che vengono spediti in Vietnam. Uno dei due si innamora di una vietnamita, ma poi muore in battaglia, l’altro (il narratore della canzone) sopravvive e riesce a tornare in America.
Una nazione irriconoscente
Si ritrova però solo e senza lavoro, soprattutto senza l’assistenza di una nazione che dovrebbe aiutarlo nel reintegrarsi nella società. Purtroppo non trova nulla di tutto questo: il funzionario della raffineria gli fa capire che per lui non c’è posto, l’uomo della Veteran Association solleva le spalle nell’impossibilità di aiutarlo. E così l’uomo si arrende a una vita da precario, trascorsa all’ombra di un penitenziario (simbolo del forte richiamo della malavita) e annusando da fuori i fumi di scarico della raffineria. A dieci anni dal ritorno dalla guerra lo ritroviamo ancora a vagabondare per l’America senza una meta e senza un futuro. E allora ecco che quell’iconico e ripetutamente urlato Born In The USA assume la doppia e opposta veste di orgoglio e di rabbia. E in qualche modo la consapevolezza di appartenere a una grande nazione, potente e facoltosa, la cui ricchezza però non è a disposizione di tutti.
Le altre canzoni sul tema
Born in the USA appartiene a un folto gruppo di canzoni che Springsteen ha scritto e composto sulla sventura americana in Vietnam. Nonostante sia divenuta il simbolo del successo planetario di Bruce nel 1984, in realtà è stata scritta in versione acustica nel periodo di Nebraska. È in quel periodo che Bruce, anche in seguito all’incontro con Bobby Muller, fondatore della Vietnam Veterans of America, sviluppò una forte consapevolezza sul dramma vissuto dai veterani del Vietnam. Oltre a Born In The USA in quel periodo Bruce scrisse altre canzoni sul tema, tra cui le bellissime Shut Out The Light e A Good Man Is Hard To Find (Pittsburgh). Altre canzoni torneranno più avanti sul tema della guerra, anche se non quella del Vietnam. Tra queste Devils & Dust, l’unica a dipingere la situazione del soldato in battaglia, Gipsy Biker che vede il dramma di un famiglia che attende la bara del loro caro di ritorno dalla guerra e Devil’s Arcade, che torna sul duro periodo di reintegrazione del soldato nella società civile e in particolare nei suoi affetti più cari.
Bruce Springsteen e Silvester Stallone
Lo Springsteen del 1984 con fisico da culturista, fascia in testa, bandiera americana alle spalle e pugno alzato fu indubbiamente uno shock se paragonato al folletto magro e nervoso che era lo stesso Bruce solo qualche anno prima. Fu praticamente inevitabile l’accostamento del nuovo Springsteen a Sylvester Stallone. Entrambi fisicati, entrambi di origini italiane, entrambi provenienti da quel ceto proletario da cui l’America aveva pescato per trovare soldati da mandare in guerra. Ma soprattutto quell’accostamento nell’immaginario comune fu favorito proprio dalla pubblicazione di Born In The USA. Due anni prima Stallone era uscito nelle sale interpretando il personaggio di Rambo, un veterano del Vietnam che veniva respinto dagli abitanti di una cittadina di provincia americana, come se fosse un delinquente. Fu immediato vedere nel narratore di Born In The USA un alter ego del personaggio di Stallone. In realtà le differenze sono notevoli. Rambo è una specie di supereroe, soldato scelto, che usa violenza, anche se come meccanismo di difesa e di reazione. Il personaggio di Springsteen è invece un semplice veterano che torna a casa e cerca invano di reintegrarsi della società e di tornare alla sua vita ordinaria. In ogni caso sia Stallone che Springsteen corsero il serio rischio di essere trasformati da antieroi critici verso la propria nazione a eroi permeati di patriottismo nazionalista.
La potenza del rock tra distorsioni e sintetizzatori
La versione ufficiale di Born In The USA è una ballata rock a tempo medio, che si regge esclusivamente su due accordi e su un riff molto semplice e facile da memorizzare che è diventato tra i più noti della storia del rock. Abbracciando l’introduzione di sintetizzatori, Bruce decise che quel riff non fosse eseguito con una chitarra o con un organo tradizionale, ma con il suono di una tastiera elettronica. Un suono molto incisivo, amato dai milioni di nuovi ammiratori di tutto il pianeta, ma inviso ai fan della prima ora. Il riff è insistente per tutta la canzone sia nelle parti strumentali, sia doppiando il cantato. Unico momento di parziale modifica di uno schema altrimenti rigido e costante, è un inciso solo strumentale, quasi in chiusura della canzone, che si caratterizza da un caos sonoro, irregolare anche nei tempi e nella ritmica, creato dalla sovrapposizione di tutti gli strumenti in una sequenza di accordi che solo per qualche attimo abbandona quello fisso della canzone. A colpire, oltre alla voce incredibilmente roca e potente di Springsteen, anche la performance alla batteria di Max Weinberg. Springsteen, infatti, per rompere la monotonia del brano, chiede al suo batterista di inserire una rullata ogni due battute della canzone. Inutile dire che Mighty Max non chiedesse altro e estrasse dal suo cilindro una delle sue massime performance di carriera.
Dall’acustico all’elettrico sintetizzato
Un altro paradosso che accompagna Born In The USA è che la canzone è in realtà nata acustica per essere inserita nell’album Nebraska del 1982. La versione originaria, pubblicata ufficialmente solo nel 1998 in Tracks, il cofanetto di inediti, si compone solo di chitarra acustica e voce. Con lo stesso testo della versione elettrica, è sempre strutturata in una sequenza di due accordi. Una versione molto più cupa e oscura un pieno stile Nebraska da un lato avrebbe privato Springsteen del blockbuster che l’avrebbe fatto conoscere in tutto il mondo, ma dall’altro avrebbe ulteriormente valorizzato il già apprezzato album acustico del 1982. Esistono poi in realtà altre versioni, sempre acustiche, che Bruce propose dalla metà degli anni ’90 in poi. In particolare si ricorda una versione live suonata con la chitarra acustica a 12 corde e con il bottleneck che abbandonava decisamente le melodie già universalmente note, pur mantenendo intatto il testo.
Tira tu le conclusioni…
- Born in The USA, uno dei brani più iconici di Springsteen, incontra favori ma anche forti critiche. Tu che idea hai?
- Le diverse versioni di Born In The USA. Quale preferisci?
- Le canzoni sulla guerra di Springsteen. Quali conosci e quali apprezzi di più?
- La questione del mancato sostegno degli USA ai suoi soldati di ritorno dalla guerra. Uno dei tanti spunti che Bruce mi ha dato per la storia che racconto nel mio romanzo, Coupe DeVille. Lo conosci? Qui trovi informazioni, recensioni e piattaforma di acquisto.
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