L’idea (o la necessità) di abbandono della città natale, nella quale si è nati e cresciuti, dove vivono i propri amici e familiari, dove si sono generate le esperienze di vita e tutto ciò che si può ricordare. Ti è mai successo? Accade in My Hometown, splendida ballata acustica che chiude il celebre album Born In The USA di Bruce Springsteen. Pubblicata nel 1984 ma scritta l’anno precedente, My Hometown ha, almeno all’origine, temi autobiografici e anticipa ciò che sarebbe avvenuto anni dopo. Springsteen, infatti, pur facendolo da rockstar e non da operaio di provincia, avrebbe lasciato la sua terra natia per migrare con moglie e figli nella più agiata e solare California. My Hometown è una ballata rock a tempo moderato, impostata su un tema melodico ben riconoscibile e su un ritornello facile da memorizzare, e diventerà un sobrio ma emotivamente forte momento live, partecipato dal pubblico all’unisono.
L’ADDIO ALLE PROPRIE RADICI
In un testo relativamente scarno, nel quale i ritornelli in realtà ripetono più volte il titolo della canzone o sue variazioni, Springsteen mostra una volta di più la sua capacità di esprimere con estrema sintesi importanti valori esistenziali e sociali. Lo fa soprattutto con la sua abilità nella descrizione di immagini o di azioni chiave, consentendoci di vedere ciò che racconta. In effetti in My Hometown si incrociano diversi temi rilevanti: il trascorrere del tempo nei corsi e ricorsi generazionali, le crisi economiche e del mercato del lavoro, gli eventi tumultuosi a livello sociale (nello specifico gli scontri razziali per la conquista di maggiori spazi e diritti nella società). Temi che portano verso un ulteriore risvolto di forte impatto sulla vita delle persone: la necessità di emigrare. Una scelta spesso forzata, che impone un addio doloroso alle proprie radici.
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Padri e figli
My Hometown si apre e si chiude con la stessa scena, ma nel mezzo trascorrono ventisette anni. Il protagonista ha trentacinque anni nel momento della narrazione e, nonostante stia meditando di andarsene da una città che sta morendo economicamente e non gli offre più lavoro, desidera imprimere nella testa di suo figlio un concetto: quella lì intorno è (e resterà sempre) la sua città. Lo fa nello stesso modo che aveva utilizzato suo padre ventisette anni prima: prendendosi il figlio sulle ginocchia e facendolo guidare per la città. Questa sorta di remake generazionale è svelato solo nell’ultima strofa, mentre subito nella prima Springsteen ci fa vedere un’immagine identica, ma dal passato: un bimbo scende da una vecchia Buick, compra il giornale per suo padre e, quando torna da lui, l’uomo lo fa guidare per le strade e gli dice: “Figliolo, guardati bene intorno, questa è la tua città.”
Scontri e disoccupazione
Che Springsteen stia parlando della sua Freehold, cittadina nell’entroterra del New Jersey, è fuori di dubbio. Che quella realtà possa essere traslata in tante altre situazioni analoghe (non solo americane) è altrettanto indubbio. Le piccole città si spopolano gradualmente: l’agricoltura non rende ed è ad appannaggio di pochi; l’industria si sposta altrove, verso il nord del New Jersey, che sta di fronte a New York, o verso le limitrofe aree urbane di Philadelphia e Baltimora. La chiusura dei siti produttivi provoca come inevitabile conseguenza la disoccupazione e, come una scure altrettanto tagliente, la povertà. In questa situazione arrivano gli scontri civili nell’ambito della popolazione, specie tra i bianchi, un tempo più agiati ma ora senza lavoro, e i neri che reclamano la possibilità di lavorare e di avere pari diritti nella società. Come in una spirale viziosa, il risultato finale non può che essere uno: andarsene.
Fotogrammi e cortometraggi di un dramma
In My Hometown Bruce Springsteen ci fa vedere tutto questo con una capacità di sintesi clamorosa. Nei 4 versi della seconda strofa tocchiamo con mano la tensione che vola nell’aria persino in un luogo che dovrebbe unire, la scuola. Ci sono gli scontri razziali e, là dove un tempo tutto era pacifico e forse fin troppo monotono, ora avvengono sparatorie e omicidi. Lo capiamo da un’immagine statica e non da un’azione. Springsteen fotografa due auto ferme a un incrocio, all’interno delle quali ci sono armi pronte a fare fuoco. Una tensione che si diffonde “alla velocità di uno sparo”. Nell’inciso invece possiamo vedere la desolazione che ne segue: vetrine imbiancate, negozi vuoti e uno stabilimento tessile che si appresta a diventare uno dei tanti cadaveri di un’industria che abbandona la cittadina e non tornerà più. Da qui la decisione, o almeno il pensiero, di una famiglia di migrare in cerca di maggiore fortuna.
Ci sarà un ritorno?
My Hometown è strettamente legata a un’altra grande canzone che Springsteen scriverà oltre vent’anni più tardi: Long Walk Home. Nella seconda ritroviamo quel giovane padre che oggi, ormai uomo maturo e disilluso, torna per capire cosa è rimasto della città che conosceva. La moglie Kate di My Hometown potrebbe essere la donna che sparisce dietro la porta di casa in Long Walk Home. Le cose sono andate male tra loro e oggi l’uomo fa il suo ritorno alla sua vecchia casa. Alcune delle vetrine imbiancate sono ancora sprangate, altre sono occupate da gente estranea, che lui non riconosce. Un’amara scoperta, appena addolcita dalla vista degli emblemi dei valori – la bandiera, l’identità, la solidarietà – che suo padre gli aveva trasmesso. Quello stesso padre che mezzo secolo prima, in My Hometown, lo aveva messo alla guida dell’auto per mostrargli la sua città per sempre.
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UN REFRAIN IN STILE NEBRASKA
Lavorando sugli accordi di quarta, il tema musicale di My Hometown, che nella versione ufficiale è affidato a un malinconico suono di tastiere sintetizzate, è facilmente replicabile con una semplice chitarra acustica o con una facile partitura di pianoforte. Risulta così facile pensare che My Hometown, per i suoi toni e le sue armonie, sia uno dei “lasciti” dell’album Nebraska che poi Springsteen riuscì ad adattare per il suo album più noto del 1984. Nonostante esistano splendide versioni di My Hometown al pianoforte, in Born In The USA Springsteen lo lasciò in disparte e decise di basare tutto sulle tastiere e sulle chitarre acustiche. Se le prime simulano il suono di dolci strumenti a fiato, come il corno e l’oboe, le seconde non si limitano a un puro accompagnamento ritmico. Una in particolare, suonata dallo stesso Springsteen in studio (e da Nils Lofgren dal vivo, appena unitosi alla E Street Band), arpeggia durante l’inciso donando all’armonia e alla dinamica della canzone una valvola di sfogo rispetto a un tema musicale altrimenti volutamente monotono. La chiusura in sfumando lascia aperto un doppio possibile significato: è la vita senza cambiamenti di quella famiglia che decide di rimanere in una città in agonia oppure la profondità della strada che quella famiglia ha deciso di intraprendere, andandosene da lì?
Curiosità
Fu lo stesso Springsteen a presentare My Hometown al suo pubblico durante il Born In The USA Tour. A Milano, poco prima di eseguire la canzone durante il celebre concerto d’esordio del 21 giugno 1985 allo stadio San Siro, Bruce disse: “Mentre crescevo, ricordo che non vedevo l’ora di andarmene dalla piccola città in cui ero nato e ho pensato che, dopo averla lasciata, non n avrei mai sentito la mancanza. Non mi sarebbero mancati i vecchi amici, la mia famiglia. Quando avevo 19 anni, ho avuto l’occasione di viaggiare, di andare lungo la strada e per lungo tempo non mi sono mancati. Ma ora, man mano che invecchio, mi rendo conto che il posto in cui sei nato resta con te per sempre.” Questo è il succo del discorso: le radici che rimangono. Quello che anche il figlio diventato padre dirà al suo bambino prima di andarsene.
Tira tu le conclusioni…
- Conosci My Hometown e il celebre album Born In The USA di Bruce Springsteen?
- Se conosci anche Long Walk Home, dall’album Magic, cosa pensi del parallelo tra le due canzoni che ho tracciato nella recensione?
- Finali secchi o finali sfumati. My Hometown ha un lungo finale sfumato, ma molti preferiscono i finali secchi. Tu cosa preferisci?
- Il tema della migrazione dalla terra natia. Ricorre nella letteratura e nella musica. Hai mai abbandonato le tue radici? Come ti sei sentito? Se non l’hai mai fatto, come ti sentiresti se ne fossi costretto?
Esprimere se stessi è segno di vitalità e di distinzione. Fallo anche tu e commenta qui.
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